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Turismo e tartufo, un gusto che vale quasi 63 milioni Turismo ed Eventi 

Turismo e tartufo, un gusto che vale quasi 63 milioni

Quell’odore caratteristico, quel sapore unico che piace tutto l’anno ma che esplode letteralmente sulle tavole, nelle fiere e nelle sagre d’autunno da Alba a Savigno, da Sant’Agata Feltria a San Miniato, da San Pietro Avellana a San Giovanni d’Asso, da Città di Castello a Moncalvo. È il «re» tartufo, che nella sua varietà più pregiata che tutto il mondo ci invidia, il tuber magnatum pico, è il grande protagonista dell’88/a Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba che si chiude questo fine settimana in Piemonte. Ma in Italia sono quasi 120 gli eventi dedicati al tartufo concentrati soprattutto in Piemonte, Molise, Toscana, Marche, Umbria ed Emilia Romagna.

«Si prevede che entro vent’anni – afferma Massimo Feruzzi, amministratore unico di Jfc e responsabile di una ricerca sull’argomento – il commercio annuale dei tartufi raggiungerà, a livello mondiale, un valore pari a 5 miliardi 260 milioni di euro. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, se si considera che trattasi esclusivamente del valore economico legato alla vendita dei tartufi. In realtà l’Italia, in questo ambito, può davvero rappresentare l’unicità turistica: già nell’ultimo trimestre di quest’anno l’intera filiera del «truffle tourism» (quindi i 115 eventi e manifestazioni con tutto ciò che questi rappresentano, i pacchetti turistici, etc.) genererà – a livello nazionale – un fatturato pari a 62 milioni 546 mila euro, per complessive 119.788 presenze turistiche e 1.817.200 presenze escursionistiche».

Un sapore fatto di antichi saperi e tradizioni e basato sul rapporto intenso e indescrivibile tra i tartufai (120 mila con il patentino in Italia suddivisi 45 mila cavatori per hobby con un cane, 59 mila esperti con due cani, 16 mila professionisti con 3/4 cani) e i loro animali dal naso d’oro. E questo legame esistente tra uomo e cane, che racchiude in sé un bene immateriale, è oggi in corsa per il riconoscimento Unesco: si tratta, infatti, di un patrimonio italiano che, però, come tutte le eccellenze nazionali rischia di trovare dei surrogati che invadono il mercato. «Perché, se è vero che il tartufo bianco – spiega Feruzzi – si trova anche in Istria, in alcune aree della Romania, Serbia, Bulgaria ed Albania (ma poi bisogna vederne la qualità!), è anche vero che sul mercato nazionale si trovano tuberi venduti come tartufi provenienti dai Paesi dell’Est Europa e del Nord Africa».

Attorno a questo mondo sono nate offerte turistiche di vario genere: dalla caccia al tartufo con visite a laboratori di trasformazione, lezioni di cucina, cene e degustazioni al trekking del tartufo nelle Langhe o nel Roero, dalle «tartufo experience» con escursioni e visita alle fiere fino alle novità più curiose come ad esempio i fidanzati cinesi che si sposano in Italia, dichiarandosi il loro amore attraverso un sistema di gaming: le coppie vengono coinvolte in una ricerca dei tartufi, che vengono preparati ad hoc e nascosti insieme alle fedi nuziali.

 

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