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La Cassazione: “A Scafati c’era il patto tra politica e camorra”. Pietra miliare sul processo Sarastra Cronaca Provincia e Regione 

La Cassazione: “A Scafati c’era il patto tra politica e camorra”. Pietra miliare sul processo Sarastra

Ricorsi inammissibili e condanne definitive per Gennaro Ridosso (5 anni e mezzo), figlio di Romoletto, suo cugino Luigi Ridosso (4 anni e 11 mesi) e Alfonso Loreto Junior (7 anni). La vicenda è quella del processo stralcio di Sarastra che si sta tenendo davanti ai giudici del Tribunale di Nocera Inferiore e che ha come imputato principe l’ex sindaco di Scafati Pasquale Aliberti. La Corte di Cassazione ha rigettato le istanze presentate dai rispettivi difensori e a fine gennaio ha motivato la sua decisione confermando la sentenza dei giudici di secondo grado. “La Corte di Appello ha proceduto ad un analitico esame degli elementi di riscontro sulla base dei quali ritenere che prima di quelle elezioni il candidato sindaco e la famiglia dei Ridosso- scrivono gli ermellini- avevano concluso un ben preciso patto sulla base del quale all’appoggio elettorale da parte dei camorristi sarebbe seguita la dazione di appalti e lavori a seguito dell’elezione (amministrative del 2013 ndr)”. E aggiungono. “Tali riscontri vengono individuati non soltanto nelle dichiarazioni di un ex candidato ma in quelle di imprenditori, politici dello stesso Luigi Ridosso tutte assolutamente concordi nel riferire fatti e circostanze analoghe quanto alla conclusione dell’accordo ed alle reciproche prestazioni previste”. Peraltro, la stessa affermazione secondo cui l’ex candidato avrebbe riferito circostanze tali da contraddire l’accusa principale di Alfonso Loreto, viene smentita da quelle considerazioni in cui Lupo dice che proprio dopo l’elezione di Aliberti, Andrea Ridosso aveva ottenuto un lavoro pubblico riguardante un piano di zona. Sicché ben lungi dal costituire smentita alle affermazioni di Loreto, tale ricostruzione conferma anzi l’avvenuta esecuzione del patto e non soltanto la sua conclusione prima dello svolgimento della competizione elettorale”, aggiungono i giudici. Alcuna contraddizione di rilievo e decisiva si evidenzia poi- scrivono- con riguardo alla differente conclusione quanto alla posizione di Gennaro Ridosso in merito alle elezioni del 2015 trattandosi di competizioni elettorali e condotte del tutto differenti ed autonome. Il giudizio definitivo a carico dei cugini Ridosso e del figlio dell’ex primula rossa, ora collaboratore di giustizia, potrebbeinfluire sul filone principale del processo, quello in corso al tribunale di Nocera Inferiore, dove sono imputati l’ex sindaco di Scafati, sua moglie Monica Paolino, consigliere regionale della Campania, suo fratello Nello Aliberti, l’ex consigliere comunale Roberto Barchiesi, l’ex vicepresidente dell’Acse, Ciro Petrucci, Andrea Ridosso e l’ex staffista comunale Giovanni Cozzolino. Sotto esame finirono gli accordi sottobanco per le elezioni comunali del 2013 e quelle regionali del 2015, quando fu eletta la consigliera Paolino. Si era a lungo parlato di un “sistema” illegale di cui era partecipe l’ex sindaco, supportato da parte della sua macchina amministrativa, che era siglato un patto con i clan, in particolare le famiglie Loreto e Ridosso, per uno scambio soprattutto in termini di voti nelle campagne elettorali dello stesso Aliberti e di sua moglie, la consigliera Paolino. Sulle accuse dall’Antimafia c’è ora una sentenza passata in giudicato che rafforza l’impianto accusatorio anche se molti dei testi, soprattutto i collaboratori di giustizia, hanno rimarcato in aula di non aver mai incontrato l’ex sindaco. A inizio aprile sarà la volta dei politici scafatesi chiamati a testimoniare dal pm della Dda Silvio marco Guarriello, che ha sostituito Montemurro in corso d’opera.

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