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«Io, faccia a faccia con il killer di mia sorella Simonetta Lamberti» Cronaca Primo piano 

«Io, faccia a faccia con il killer di mia sorella Simonetta Lamberti»

Un faccia a faccia «rubato» nell’androne del suo palazzo a Nocera Inferiore solo per guardarlo ancora una volta negli occhi. Per chiedere al boss Antonio Pignataro se quel pentimento, reso quando ha confessato l’omicidio di sua sorella, fosse vero. A raccontare l’inedito e doloroso confronto è Simonetta Lamberti, nata dopo che la sorella omonima fu uccisa dalla camorra. Era il 1982 quando la primogenita del giudice Alfonso Lamberti, ad appena 11 anni, fu raggiunta da un proiettile alla testa mentre era in macchina con il padre, di ritorno a Cava dopo un pomeriggio trascorso sulla spiaggia di Vietri. Le immagini del faccia a faccia tra la sorella della vittima e il killer saranno diffuse nel corso della puntata delle Iene che andrà in onda il 22 dicembre. La trasmissione di Italia Uno ha ricostruito la vicenda della recente scarcerazione, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, del boss Pignataro.

Quando è stata contattata dalle Iene?
«Agli inizi di novembre, dopo aver appreso dai giornali la notizia della nuova scarcerazione di Pignataro. Dopo un iniziale choc misto a rabbia, ho deciso di urlare al mondo intero il mio dolore. Per la seconda volta hanno aperto una ferita, mai sanata, e mi hanno fatto ripiombare in un incubo. Per l’omicidio di mia sorella, era stato condannato a 30 anni, ma ne ha scontati solo due. Ha ottenuto gli arresti domiciliari perché affetto da due tumori. Ma non ha smesso di fare il camorrista. Dopo due anni è tornato in carcere perché ha continuato a fare il boss e programmare omicidi. Ora, per decorrenza dei termini di custodia cautelare, nell’ambito di un’inchiesta sul voto di scambio, è tornato libero. Deve solo rientrare a casa entro le 22».

Come siete arrivati sotto casa sua?
«Abbiamo passato una giornata intera insieme agli inviati delle Iene. Sarebbe stato difficile concentrare tutta l’intervista in pochi minuti. Quello che certamente è stato molto molto forte è l’aver avuto un faccia a faccia con Pignataro».

Cosa avete fatto?
«Mi hanno portata a Nocera nel pomeriggio. Abbiamo aspettato Pignataro, che alla fine è arrivato. Mentre saliva a casa, l’ho chiamato nell’androne del palazzo. Gli ho solo chiesto la verità. Volevo un confronto, volevo chiedergli se quel fantomatico pentimento fosse vero. Un camorrista sanguinario come lui ha avuto paura di me e dell’altra possibilità che, ancora una volta, ho voluto dargli».

Cosa le ha risposto?
«Ha avuto paura di me. Ha farfugliato qualcosa. Ha detto che doveva rientrare».

E lei cosa ha provato?
«Ci siamo sentiti forti».

Perché dice di avergli dato una seconda possibilità?
«Dopo la condanna a 30 anni per l’omicidio di mia sorella, aveva chiesto a me e mia madre perdono. Ci ha inviato delle lettere. Noi gli avevamo creduto. Gli abbiamo dato anche una foto di Simonetta. Ma poi abbiamo scoperto che erano solo un modo per avere uno sconto di pena. Ha continuato a fare il camorrista. Sebbene fosse ai domiciliari, era libero di organizzare un nuovo clan e programmare altri omicidi. Per fortuna è stato fermato in tempo».

Come si è conclusa questa giornata così difficile?
«Siamo andati a trovare mia madre a casa sua. Anche lei ha aperto le porte dei suoi ricordi e del suo cuore».

Perché lei continua questa battaglia?
«Lo devo a mia sorella. Oggi avrebbe un marito, dei figli, una famiglia. Tutto questo le è stato tolto quel tragico pomeriggio del 1982. Io sono nata tra le macerie. Una vita già segnata. Non posso accettare che il killer di mia sorella sia libero. Sia libero di uscire, di stare a casa con la sua famiglia. Quando era stato scarcerato la prima volta perché aveva dimostrato di aver due tumori, io lo avevo accettato. Ma poi quello stesso uomo che doveva curarsi ha continuato a fare il camorrista. Ci siamo sentiti presi in giro». (fonte: ilmattino.it)

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