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Il 26 luglio 1943 il discorso di Duccio Galimberti in piazza a Cuneo: “La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco” Attualità 

Il 26 luglio 1943 il discorso di Duccio Galimberti in piazza a Cuneo: “La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco”

Accadde oggi, a notizia delle «dimissioni» di Mussolini da capo del governo e la sua sostituzione con il maresciallo Badoglio fu data solo alle 22,45 del 25 luglio ’’43. La maggior parte degli italiani andò a letto senza sapere del radicale stravolgimento politico. Non così Duccio Galimberti, che si trovava a Torino dal fratello Carlo Enrico. Telefonò ai suoi compagni di studio e di partito, avvertendoli che sarebbe rientrato l’indomani presto a Cuneo. Era turbato dal secondo comunicato della radio, quello di Pietro Badoglio: «La guerra continua a fianco dell’alleato germanico… chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito».

Il 26 luglio in tutta Italia vi furono fin dal mattino esplosioni di gioia con cortei, assalti alle carceri per liberare i detenuti politici, comizi di antifascisti. A Milano in piazza Duomo e a Porta Venezia parlarono Giovanni Roveda e Pietro Ingrao, a Torino Giorgio Carretto, a Roma in piazza Colonna Ivanoe Bonomi.

A Cuneo, centro di appena 35 mila abitanti, vi furono assembramenti paragonabili a quelli delle grandi città. Era giorno di mercato del bestiame e la gente, accorsa anche dai comuni limitrofi, voleva sapere: si rivolse dapprima ai vecchi notabili liberali, l’ex sindaco ante fascismo Antonio Bassignano e l’ex ministro Marcello Soleri, i cui studi legali erano in piazza Vittorio Emanuele, vicino al tribunale. Fu una delusione: da loro vennero poche parole, che invitavano alla calma, a lasciar fare al re e a Badoglio. Non lontano sorgeva la casa di Galimberti. Nella notte i suoi amici (Adolfo Ruata, Dino Giacosa, Arturo Felici, Cesare Franchino, Leo Scamuzzi ecc.) avevano preparato un manifesto, che poi non fu pubblicato. Quindi a metà mattinata si misero a indirizzare la folla verso l’isolato in cui aveva sede lo studio Galimberti. Verso le 11 Duccio comparve sul terrazzo dove era stato montato un impianto di amplificazione. L’organizzazione che clandestinamente il Partito d’azione si era data nei mesi precedenti, sostenuta ora dall’intervento degli altri partiti antifascisti, che nella stessa giornata daranno vita al primo Cln provinciale, permise di radunare migliaia di persone.

Ruata testimonierà che Duccio originariamente voleva anche lui invitare la folla alla calma, ma poi di fronte a quella massa di popolo commosso si convinse che l’ora richiedeva ben altro messaggio. Fu un discorso breve, controcorrente. Gli italiani credevano che la guerra fosse finita; Duccio disse che stava per cominciare quella contro i tedeschi e i loro alleati subalterni, i fascisti. La folla inneggiava al re a Badoglio; Duccio spiegò come la vecchia classe dominante, collusa con il fascismo, pensasse solo a salvare i propri privilegi ed esortò il popolo a prendere in mano il proprio destino. «Sì, la guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana, ma non si accorda a una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli Italiani». Questo il passo che Ettore Rosa, futuro comandante della liberazione, ricordò di aver udito. Il resto è di difficile ricostruzione. Chi scrive ci aveva provato sette anni fa in occasione della grande manifestazione organizzata dal comune per la serata del 70° anniversario. Le testimonianze di Ruata e di Rosa possono essere integrate con sei foglietti, scritti a matita da Galimberti qualche ora, al massimo un giorno dopo il comizio, che fanno un bilancio delle manifestazioni popolari del 26 luglio:

«Il popolo ha goduto per 12 ore della tanto ambita libertà. Alle 13 del 26 luglio aveva già cessato di sapere che fosse. Il desiderio di tutelare l’ordine pubblico spinto al parossismo, l’applicazione pedestre e priva di buon senso degli ordini superiori… hanno ripiombato il paese in uno stato di costrizione maggiore ancora di quello prima sofferto».

Erano gli effetti della circolare Roatta, che pensata inizialmente per reprimere reazioni fasciste alla deposizione di Mussolini, che non vi furono, si rivolgeva ora contro chi chiedeva pace, pane e libertà. A Cuneo nel pomeriggio del 26 un plotone di alpini aprì il fuoco contro i manifestanti, causando alcuni feriti e un morto. Ben più pesante sarà nei giorni successivi il bilancio delle vittime nelle altre città. Per questo il discorso di Duccio prefigurava non solo la lotta armata dell’8 settembre, ma anche la rottura istituzionale del 2 giugno ’46. —

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