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Cooperativa Stalker, quando un vasetto di confettura contiene un progetto inclusione sociale  Attualità Provincia e Regione 

Cooperativa Stalker, quando un vasetto di confettura contiene un progetto inclusione sociale 

È un mite pomeriggio di novembre, come tutti gli altri, in cui, in questi tempi dalle incertezze climatiche, l’aria non si è fatta ancora pungente, e nel nostro giro di incontri tra le associazioni che in Salerno si spendono quotidianamente, ci rechiamo presso la sede de “La Rada – Consorzio di Cooperative Sociali”. Saliamo le scale, per incontrare Nicola Merola presidente cooperativa Stalker, e tra i cordiali saluti di benvenuto ci viene incontro questo gigante dallo sguardo buono ed il sorriso pieno. Rasserenante. Non è un abbaglio, e bastano poche parole per capirlo. Traspare fin da subito. Si siede alla scrivania ed io comincio subito col porgli alcune delle domande che avevo pensato potessero essere di interesse per meglio mostrare il bellissimo progetto Stalker.

Quando e come nasce il progetto cooperativo stalker?  

La cooperativa nasce nel 2006, molti anni fa. Allora avevamo già avviato da anni dei percorsi di emancipazione di persone che avevano problemi di salute mentale. Percorsi di autonomizzazione, di indipendenza, attraverso delle comunità.
Poi capimmo, strada facendo, perché, ad imparare a fare sociale si può soltanto nella pratica, che queste persone avevano bisogno, una volta risolto il problema di un tetto, di occupare in modo proficuo e produttivo il loro tempo, altrimenti avrebbero fatto dei passi indietro. Si arriva, nei percorsi di recupero di persone con svantaggio o disabilità, ad un punto in cui o continui ad andare avanti o immancabilmente torni indietro. Una volta compreso questo ci demmo da fare perché si potesse costruire un’opportunità di inserimento lavorativo. L’opportunità che ci venne data all’epoca fu quella di riutilizzare, recuperare, frutta prodotta all’interno di un’azienda regionale, l’azienda Improsta, e quindi avemmo l’idea di allestire un piccolo laboratorio di trasformazione dove queste persone, con problemi di salute mentale potessero lavorare.  

Oltre all’opportunità, da cosa la scelta di lavorare e trasformare proprio prodotti della terra?  

C’è un parallelismo, un’analogia, fra il lavoro che abbiamo scelto e il percorso di recupero di queste persone. Innanzitutto, il recupero. Persone che venivano considerate ormai incapaci di essere di nuovo produttive, al pari di prodotti che altrimenti sarebbero andati al macero. E siamo andati alla ricerca di prodotti di ottima qualità, ma che in quel momento non venivano valorizzati.
Seconda analogia, la trasformazione, quello che avviene nel momento in cui tu recuperi un prodotto che vale, ma che fino a quel momento non era stato considerato tale.
Lo recuperi e lo trasformi, facendo sì che diventi ancora migliore, dando, a quel prodotto, un valore che prima non aveva. Il recupero, la trasformazione e la valorizzazione. Queste le tre coordinate, e sono valse tanto per il lavoro del laboratorio, quando per il lavoro sociale che facevamo le persone che venivano inserite nel laboratorio.  

Ad un certo punto l’incontro con U.D.E.P.E.. È risultato fattibile, e con quale grado di utilità, l’inserimento di soggetti sottoposti allo svolgimento di attività lavorative esterne al regime carcerario?  

Assolutamente sì. Quando cominci ad occuparti di esclusione sociale, di persone emarginate a causa della loro disabilità, del loro svantaggio o della loro esperienza di vita, non fai più distinzioni. Capisci che non c’è molta differenza fra il disabile fisico e l’affidato al Ministero di Giustizia. E ci siamo allargati ad altre categorie di persone svantaggiate. Ecco perché la collaborazione con l’Ufficio di esecuzione penale esterna (U.D.E.P.E.). E il rapporto ormai è datato, iniziato a cavallo tra il 2016 e il 2017.
Non posso non dire che è stato ottimo, sia il rapporto con l’ufficio, che quello con i tirocinanti che ci sono stati assegnati, non abbiamo avuto nessuna esperienza negativa. O siamo stati molto fortunati, oppure queste persone è di un’occasione, e forse questa è la è la risposta giusta, che hanno bisogno.
Ma va data loro l’occasione giusta, perché non tutte sono utili.

Il lavoro di inserimento sociale ha quest’unica difficoltà, che devi ritagliarlo addosso alla persona. Non tutti i lavori sono adatti a persone con svantaggio, con un vissuto come questo, traumatico, drammatico, e quindi serve la capacità di ritagliare addosso alla persona il lavoro che gli è più confacente. Solo così quella persona comincia a rendere, e allora succedono tante cose. La prima, il riscatto. Queste persone affidateci dall’ufficio esecuzione, hanno avuto l’occasione, in questi anni, di riscattarsi rispetto a un’immagine che avevano, soprattutto nei loro luoghi di provenienza, —faccio qualcosa di buono che fino ad oggi non ho mai fatto— la seconda, l’aumento della stima di sé, —non ho fatto niente di buono fino adesso ma, Io, sto riuscendo, ad essere produttivo, a fare un lavoro, e lo sto facendo bene— e l’essere produttivo è un valore aggiunto anche per la cooperativa. L’aiuto è reciproco. Queste persone aiutano la cooperativa ad esistere e questa cooperativa dà una chance a queste persone. Solo quando funziona in tutti e due i sensi, il sistema di inclusione riesce nel suo scopo.  

E in generale ritiene che questi strumenti possano dirsi utili per, oltre un reinserimento, anche un recupero di una dimensione di legalità?  

Legalità. Forse l’unico neo di queste esperienze, fatta col Ministero di Giustizia, è che purtroppo non abbiamo potuto investire in programmi dalle soluzioni durature. Dal 2018 abbiamo avuto l’opportunità di avere progetti finanziati, ma dalla durata di soli sei mesi. Il mio augurio, per noi e soprattutto per queste persone, è di avere la possibilità di creare delle attività, che possono accogliere un maggior numero di tirocinanti. Con l’auspicio di cominciare ad assumerne qualcuno. Per ogni progetto che c’è stato, in questi anni, abbiamo avuto sei tirocinanti. È un numero minimo rispetto a quelli che ne avrebbero bisogno, una goccia nel mare, ma soprattutto, è necessario dare continuità a questi percorsi, che risultano essere un assaggio e niente di più. Utile sicuramente, e molto significativo per queste persone, ma incapaci di un cambiamento strutturale nelle loro vite.
E invece hanno bisogno di questo, di comprendere i vantaggi della legalità, ovvero, i vantaggi della legalità si apprezzano soltanto se tu hai il tempo per goderne. Vivi in un mondo di legalità e apprezzi quello che la legalità ti sa dare. Ma perché possa rimanerti dentro, e quindi per realizzare dei veri cambiamenti di rotta nell’esistenza di queste persone, è necessario che i vantaggi della legalità possano perdurare nel tempo. 

A meno di non trovare degli inserimenti lavorativi successivi alla fase di affidamento in prova?  

La questione è che la 68/99, la legge sull’inserimento mirato delle persone svantaggiate e/o disabili, rispondeva proprio a quest’esigenza. Ovvero che tutte le aziende al di sopra dei 15 dipendenti, debbano assumersi la responsabilità di impiegare almeno una persona, e poi proporzionalmente in base al numero dei dipendenti, con disabilità o svantaggio. Ma purtroppo, soprattutto al sud, questo non avviene, e le aziende preferiscono pagare la penale prevista dalla legge, piuttosto che assumere persone con disabilità. Questa responsabilità viene affidata, quasi nella sua totalità, alle cooperative sociali di inserimento lavorativo.                                                         
Non è possibile che, in una provincia così ampia, ci sia un numero così esiguo di cooperative B. Le quali mantengono comunque un gap produttivo considerevole. Perché avendo persone con svantaggio non possono avere la stessa produttività, la stessa resa, di un’impresa che sta sul mercato con un prodotto analogo. La legge 381/91 dispone che le cooperative B, proprio perché svolgono una funzione sociale, devono essere sostenute dalle amministrazioni pubbliche. E quando queste hanno da affidare qualche servizio, devono rivolgersi prioritariamente alle cooperative sociali. Una funzione sociale che dovrebbe essere svolta dal pubblico ma che è demandata al privato sociale. Ma solo se a loro ne viene data l’opportunità.  Non è pensabile concorrere ad un appalto, contro un’impresa od una cooperativa che fa le marmellate come la cooperativa Stalker. Non potremo mai avere gli stessi prezzi, ciò nonostante, noi ci proviamo.
Ed in anteprima posso dirvi che quasi sicuramente, diciamo al 99%, procederemo all’assunzione di una delle tirocinanti dell’ultimo progetto affidataci dall’U.D.E.P.E.  

E quali futuri progetti, magari di concerto con altre realtà o la stessa U.D.E.P.E., sono in cantiere?  

Ci piacerebbe estendere la nostra linea. Al momento ci occupiamo prevalentemente della trasformazione di frutta, vorremmo invece ampliare la nostra offerta anche alla trasformazione degli ortaggi. Per fare questo c’è però bisogno di rinnovare il parco macchine, oltre che di interventi di tipo strutturale sul laboratorio, in cui si trova oggi la cooperativa. Questa è la nostra visione strategica per i prossimi anni, modificare i nostri prodotti, aggiungerne di nuovi, soprattutto nel campo del salato. E così, avere la possibilità di svolgere un numero maggiore di tirocini, ma, soprattutto, di poter assumere qualcuno dei tirocinanti. 







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