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Condannati i figli «bamboccioni»: la casa torna al padre Cronaca Primo piano 

Condannati i figli «bamboccioni»: la casa torna al padre

Niente più alibi per i «bamboccioni»: l’obbligo dei genitori di mantenere i figli maggiorenni «non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura». È un provvedimento della prima sezione civile del tribunale di Salerno, (Giorgio Jachia presidente, Guerino Iannicelli e Valentina Chiosi a latere), a recepire un recente orientamento della Cassazione, riassegnando la casa coniugale al padre dei «ragazzi» – due adulti di 40 e 47 anni – che, come stabilito dai giudici non hanno più diritto a godere, insieme alla madre, della casa coniugale, un alloggio popolare, che, per tanto, rientra in possesso dell’anziano genitore costretto, per 5 lunghissimi anni, a vivere in una vecchia utilitaria. La storia, conclusasi alcuni giorni fa con il decreto di accoglimento dell’istanza avanzata dai legali dell’uomo, gli avvocati dell’Ami Marianna Grimaldi e Laura Fasulo, comincia 12 anni fa.
Lui disoccupato, lei titolare di una regolare busta paga, dopo oltre 25 anni di matrimonio e con due figli di ormai 28 e 35 anni si separano. L’uomo, 64 anni, perde la casa coniugale assegnata all’ex moglie e ad i loro figli che, nonostante abbiano entrambi conseguito dei diplomi specializzati, non sono ancora autosufficienti. L’uomo non sa più dove andare: afflitto da problemi di salute e senza la possibilità di trovare un’altra abitazione, finisce col vivere in una vecchia auto. L’anno scorso anno, quando i “ragazzi” avevano ormai, 40 e 47 anni, l’uomo si rivolge agli avvocati per tentare, ancora una volta, di ottenere la modifica delle condizioni di divorzio. L’anziano non ha mai avuto alcun sostegno economico dagli stessi figli con i quali ha ormai rotto ogni rapporto. «I due figli – si legge nella sentenza – risultano allo stato essere privi di una stabile e regolare occupazione lavorativa tuttavia l’età degli stessi, 40 e 47 anni, anche se può in astratto giustificare un obbligo di mantenimento è tale da ritenere non più sussistenti le esigenze di tutela dirette a garantire alla prole, anche maggiorenne, la continuità dell’usuale ambiente familiare per realizzare in maniera compiuta quel percorso educativo». Fonte: Il Mattino

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