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Mazzette ai giudici tributari, in quindici verso il processo Cronaca Primo piano 

Mazzette ai giudici tributari, in quindici verso il processo

Mazzette alla commissione tributaria: quindici indagati e sei società nel mirino della Procura. È un avviso di conclusione delle indagini preliminari molto stringato quello firmato i primi di luglio dal sostituto procuratore Elena Guarino e notificato in questi giorni dagli uomini del Nucleo di polizia economico finanziaria di Salerno (agli ordini del colonnello Gabriele Di Guglielmo e dal tenente colonnello Salvatore Serra). Forse perché le indagini, dopo i primi arresti dello scorso maggio, sono andate avanti anche grazie ad una serie di fascicoli consegnati dalla sede napoletana della commissione tributaria regionale. Restano comunque tutti i capi di imputazione: concorso formale in corruzione in atti giudiziari aggravato dalla reiterazione. E restano tutti gli indagati per i quali il pm non fa alcuno sconto ma è pronta a chiedere il processo.

Ricordiamo che quattordici dei quindici indagati, quando il gip Piero Indinnimeo firmò i provvedimenti, finirono in cella. Tra questi, due giudici: Fernando Spanò, presidente della IV sezione e Giuseppe De Camillis, vicepresidente della seconda sezione. I due avrebbero intascato tangenti per velocizzare l’esame del ricorso relativamente alle posizioni di sei aziende: la Metoda spa, Agrolatte srl, Agrolatte catering srl, Esplana spa (poi diventata srl), Facomgas e Autoshop (in liqudazione). Gli altri dieci arrestati erano imprenditori e consulenti. C’erano Giuseppe Naimoli e Salvatore Sammartino, dipendenti della segreteria della commissione tributaria regionale che – secondo le indagini veicolavano il flusso di denaro e le «correzioni» delle sentenze – quindi Cosimo Amoddio, Vincenzo Castellano, Angelo Criscuolo, Antonio D’Ambrosi, Alfonso De Vivo, Claudio Domenico Dusci, Andrea Miranda, Giuseppe Piscitelli, Aniello Russo, Teodoro Tascone. L’accusa per tutti è di concorso formale in corruzione di atti giudiziari. Dopo gli interrogatori uscirono tutti dal carcere. Tra gli indagati – denunciato a piede libero – anche Franco Spanò, il giovane figlio del giudice, per il quale il padre aveva chiesto un lavoro con retribuzione «a nero» al gruppo Amoddio in cambio di un giudizio favorevole alla Autoshop per pendenze tributaria di oltre due milioni di euro. A carico delle società sono invece stati contestati illeciti amministrativi, molti dei quali andati avanti fino al 2019. (fonte: ilmattino.it)

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