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L’1 novembre di 66 anni fa moriva a Monferrato il generale dell’Armistizio Pietro Badoglio Attualità 

L’1 novembre di 66 anni fa moriva a Monferrato il generale dell’Armistizio Pietro Badoglio

Accadde oggi: era il 1 novembre del 1956, 66 anni fa, quando a Monferrato muore Pietro Badoglio, il generale dell’Armistizio. Il “genio” delle armi italiane è Pietro Badoglio, capo di stato maggiore generale che, nel 1940, quando l’Italia entra in guerra, ha 69 anni, un passato di equivoca gloria e una collaudata dimensione di uomo buono per tutte le stagioni. Non è un uomo di Mussolini, non lo è di nessuno, forse neppure del re, suo sponsor, perché serve un solo padrone: la propria ambizione. Presidente di mille commissioni, soldato più medagliato d’Italia, ha un grande potere con relativi stipendi. Fa incetta di onori, titoli e prebende, senza scrupoli, senza pudore. Liscia il pelo del gatto Mussolini, gli racconta le cose che al duce piace ascoltare. Non va alle manovre, non si aggiorna, è vecchio, superato, su misura per un esercito di guarnigione. Nella Wehrmacht sarebbe al massimo un colonnello da retrovia. Invece è sempre lì, greve, assopito, astuto, sornione, a comandare, fare lo yesman e tessere trame oscure.

Il piemontese di ferro
Nato a Grazzano Monferrato il 28 settembre 1871, “razza Piemonte” dalla salute che non tradisce, innamorato delle bocce e della sua terra, avaro, vendicativo, tenace nel rincorrere la fortuna, Pietro Badoglio è coerente nel servire se stesso. La prima macchia è stata Caporetto, dove viene sconfitto e poi promosso. Quei giorni, fra morti e feriti, sono in 40mila a scontare i suoi errori, ma il suo mito comincia proprio da una tragedia. A pagare sono sempre gli altri, lui ha molti santi in paradiso. La sua biografia è esemplare. La carriera è folgorante. Il fascismo lo attira in un mare di unzione. È monarchico, massone, ma che importa? Nel ’25 è capo di stato maggiore, nel ’36 trionfa ad Addis Abeba. Diventa il maresciallo del regime, “combattente per i più alti ideali della civiltà fascista”. Quando scoppia la guerra e Mussolini marcia al fianco di Hitler per partecipare al bottino, il maresciallo non rischia e si schiera, allineato e coperto, anche se sa che è un errore e che, cifre alla mano, l’Italia va allo sbaraglio.

Silurato
Nell’ottobre del ’40 è la fatale Grecia, la grande occasione di Badoglio, quella di dissociarsi di fronte alla più clamorosa “follia” di Mussolini: la perde perché non ha la statura morale per dire di no. Ironia del destino: il duce, stanco del suo inutile ruolo di esecutore, lo silura. Da quel momento vivrà covando la rivincita. Il 25 luglio 1943 accetta tutto pur di avere il posto di Mussolini, anche di fare da parafulmine a un re che fa (male) il giro di valzer e gli offre il governo. Tratta con gli americani da dilettante, cerca di incastrare i tedeschi e non ci riesce, non prepara il Paese al cambio delle alleanze, lascia allo sbando l’amministrazione e in balìa dei nazisti un esercito che avrebbe meritato un esempio migliore.

La fuga
Nel momento della verità è in fuga, poco nobilmente, sulla strada di Pescara, nella sua seconda Caporetto. L’8 settembre, nel giorno del si salvi chi può, mentre l’esercito attende ordini che non verranno, il maresciallo non ha più santi in paradiso. Il suo lungo flirt con la fortuna è travolto dalla paura senile. Il grande Badoglio si dimostra piccolo. La vendetta tedesca lo manca di un capello ma la sua storia si ferma lì. E un quadro generale di disistima nei suoi confronti è l’unica armonia di cui è, inconsapevolmente, capace.

La fine
Muore il 1° novembre 1956, nel Monferrato ovattato di nebbia, in una notte di pioggia triste, con la campagna coperta di foglie marce. Proprio come quella notte di ottobre, nel 1917, a Caporetto.

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