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Il Tar accoglie il ricorso dei residenti sul decreto Via, futuro dell’Aeroporto ridimensionato Attualità Primo piano 

Il Tar accoglie il ricorso dei residenti sul decreto Via, futuro dell’Aeroporto ridimensionato

Il Tribunale amministrativo regionale  della Campania, sezione Salerno, accoglie il ricorso dei 13 residenti e annulla il decreto Via collegato all’aeroporto di Salerno, Costa d’Amalfi. I ricorrenti avevano evidenziato l’impatto dell’opera sull’ambiente ed espresso preoccupazione per la salute dei cittadini di Pontecagnano, Bellizzi e Montecorvino Pugliano. Il contenzioso è giunto in aula per l’udienza di merito, a pochi giorni dall’intesa tra Gesac e Ads che nel mese di ottobre ha sancito la nascita della nuova società deputata a gestire il futuro dell’aeroporto. Quindi allo stato- in attesa del ricorso al Consiglio di Stato- il futuro dell’aeroporto è stato ridimensionato, con uno stop al progetto di allungamento della pista che è opera propedeutica ai piani sviluppo.

 

IL TAR

A suffragio della proposizione attorea di insufficienza informativo-documentale – in termini di progetto sia preliminare sia definitivo del Master Plan dell’Aeroporto di Salerno milita, poi, la circostanza che, dopo la presentazione dell’istanza di VIA di cui alla nota dell’ENAC prot. n. 64229 del 20 giugno 2016, la AdS ha indetto una procedura aperta ex artt. 60 e 133 del d.lgs. n. 50/2016 per l’affidamento dei “Servizi di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, incluso il coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, degli interventi previsti per lo sviluppo dell’Aeroporto di Salerno Fase 2 del programma degli interventi” (bando del 16 ottobre 2017, prot. n. 981/G), e cioè, segnatamente, della deviazione e del prolungamento dei torrenti Diavolone e Volta Ladri, dell’adeguamento delle bretelle di collegamento, dell’ampliamento del piazzale per aeromobili Ovest, del prolungamento della pista di volo, dell’adeguamento della viabilità, della realizzazione, dell’ampliamento e dell’adeguamento dei parcheggi, del distributore carburanti esterno, dell’“Edificio Mezzi di Rampa”, del Terminal Ovest per l’aviazione generale; e che, per di più, – a dispetto della formulazione dell’oggetto dell’appalto – i servizi di progettazione posti in gara afferiscono non solo agli interventi della Fase 2 del PSA, ma anche agli interventi della Fase 1 (quali la deviazione ed il prolungamento dei torrenti Diavolone e Volta Ladri, l’adeguamento e la riconfigurazione delle bretelle di collegamento, il primo prolungamento della pista di volo, dell’“Edificio Mezzi di Rampa” e la realizzazione dell’annesso parcheggio a raso). Ed invero, se il Master Plan avesse attinto il livello informativo e di dettaglio richiesto dall’art. 5, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 152/2006, non sarebbe stato, di certo, logicamente necessario appaltare, all’indomani della sua elaborazione, la progettazione preliminare e definitiva di svariate opere ivi contemplate. I superiori approdi non possono dirsi menomati dalla proposizione della resistente AdS, secondo cui la normativa settoriale in materia aeroportuale escluderebbe il livello informativo e di dettaglio ex art. 5, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 152/2006, predicato da parte ricorrente in relazione al Master Plan dell’Aeroporto di Salerno. A sostegno della propria tesi, la AdS richiama, precipuamente, la disposizione dell’art. 8, comma 4, lett. a, del d.p.c.m. 27 dicembre 1988 (Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità di cui all’art. 6, l. 8 luglio 1986, n. 349, adottate ai sensi dell’art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 agosto 1988, n. 377), in base alla quale, «con riferimento agli aeroporti, la procedura di cui all’art. 6 della legge 8 luglio 1986, n. 349, si applica al sistema aeroporto nel suo complesso, nonché ai progetti di massima delle opere qualora comportino la modifica sostanziale del sistema stesso e delle sue pertinenze in relazione ai profili ambientali … nel caso di nuovi aeroporti o di aeroporti già esistenti per i quali si prevede la realizzazione di piste di lunghezza superiore ai 2.100 metri od il prolungamento di quelle esistenti oltre i 2.100 metri». Un simile assunto sconta un triplice ordine di argomentazioni reiettive. n primis, ai fini dell’individuazione della tipologia progettuale da sottoporre a VIA, un approccio interpretativo logico-sistematico induce a ripudiare la propugnata prevalenza della disciplina settoriale in materia aeroportuale a discapito della disciplina settoriale in materia ambientale. In realtà, i due moduli in questione – ossia, da un lato, quello di approvazione del PSA, e, d’altro lato, quello del subprocedimento di VIA, innestantesi nel primo – risultano caratterizzati, ciascuno, da elementi specializzanti, i quali sono tra loro non già logicamente incompatibili, bensì coordinabili e integrabili alla stregua del criterio della specialità reciproca. Vale a dire che l’applicabilità dell’uno (Master Plan ex art. 1, comma 6, del d.l. n. 251/1995) non elide o assorbe, ma si intreccia con l’applicabilità dell’altro (VIA ex artt. 6 e 23 ss. del d.lgs. n. 152/2006). E ciò, comunque, senza che quest’ultima possa ritenersi preclusa da disposizioni normative di segno contrario dettate in relazione al primo modulo. La previsione di rango primario contenuta nell’art. 1, comma 6, del d.l. n. 251/1995 nulla stabilisce, infatti, circa la VIA relativa ai progetti di infrastrutture aeroportuali; mentre, alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale improntato all’operatività del principio di gerarchia delle fonti (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2005, n. 2034; 2 marzo 2009, n. 1169; sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812; sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009; sez. VI, 24 ottobre 2017, n. 4894; sez. IV, 7 dicembre 2017, n. 5753; TAR Campania, Napoli, sez. VII, 18 luglio 2017, n. 3838), le previsioni di rango subprimario contenute nell’art. 8, comma 4, lett. a, del d.p.c.m. 27 dicembre 1988 e nel paragrafo B, punti 4 e 5, della circolare del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici n. 1408 del 23 febbraio 1996 (nonché, vieppiù, dalla prassi codificata nelle Linee guida ENAC del 1° ottobre 2001 per la redazione dei Piani di Sviluppo Aeroportuale, nella circolare ENAC APT21 del 30 gennaio 2006 e nella nota ENAC prot. n. 27678 del 2 maggio 2008, evocate dalla resistente AdS), ove interpretate nel senso di assoggettare a VIA i Piani di Sviluppo Aeroportuale non aventi il livello informativo e di dettaglio propri della progettazione sia preliminare sia definitiva, devono considerarsi recessive e, quindi, disapplicabili dall’adito giudice amministrativo di fronte alla confliggente disciplina legislativa recata dagli artt. 5, comma 1, lett. g, e 6, comma 7, lett. a, e dal punto 10, primo alinea, dell’allegato II al d.lgs. n. 152/2006 con specifico riferimento ai progetti di infrastrutture aeroportuali; cosicché è con esclusivo riguardo al parametro di giudizio da quest’ultima elargito che gli atti impugnati vanno sindacati e, quindi, reputati in concreto illegittimi, in quanto adottati senza il richiesto grado di analiticità del progetto sottoposto a VIA. d omologhi approdi disapplicativi si perviene, altresì, sulla base di un approccio interpretativo teleologico, orientato sugli indeclinabili valori ordinamentali, precipuamente di derivazione euro-unitaria e costituzionale, salvaguardati dalla normativa in materia di VIA. In questo senso, giova rammentare che la Corte di Giustizia UE, nella sentenza 4 maggio 2006, C-508/03, ha reputato confliggente con gli artt. 2.1 e 4.2 della direttiva 85/337/CE (corrispondenti ai vigenti artt. 2.1 e 4.3 della direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE) «la normativa nazionale ai sensi della quale, nel caso dei permessi di costruire sulla base di un progetto preliminare con approvazione successiva degli aspetti riservati, una valutazione può essere effettuata solo nella fase iniziale del rilascio di tale permesso e non nella fase successiva dell’approvazione degli aspetti riservati». Nello stesso senso, giova, altresì, rammentare che, a norma dell’art. 5.1 della direttiva 2011/92/UE, «quando è richiesta una valutazione d’impatto ambientale, il committente prepara e trasmette un rapporto di valutazione dell’impatto ambientale. Le informazioni che il committente deve fornire comprendono almeno: a) una descrizione del progetto, comprendente le informazioni relative alla sua ubicazione e concezione, alle sue dimensioni e alle sue altre caratteristiche pertinenti; b) una descrizione dei probabili effetti significativi del progetto sull’ambiente; c) una descrizione delle caratteristiche del progetto e/o delle misure previste per evitare, prevenire o ridurre e, possibilmente, compensare i probabili effetti negativi significativi sull’ambiente; d) una descrizione delle alternative ragionevoli prese in esame dal committente, adeguate al progetto e alle sue caratteristiche specifiche, con indicazione delle ragioni principali alla base dell’opzione scelta, prendendo in considerazione gli effetti ambientali; e) una sintesi non tecnica delle informazioni di cui alle lettere da a a d; e f) qualsiasi informazione supplementare di cui all’allegato IV relativa alle caratteristiche peculiari di un progetto specifico o di una tipologia di progetto e dei fattori ambientali che possono subire un pregiudizio». Le informazioni prescritte dalla disposizione dianzi riportata per l’elaborazione del rapporto di valutazione dell’impatto ambientale sono così ulteriormente specificate nell’Allegato IV alla citata direttiva 2011/92/UE:
«1. Descrizione del progetto, comprese in particolare: a) la descrizione dell’ubicazione del progetto; b) la descrizione delle caratteristiche fisiche dell’insieme del progetto, compresi, ove pertinenti, i lavori di demolizione necessari, nonché delle esigenze di utilizzo del suolo durante le fasi di costruzione e di funzionamento; c) la descrizione delle principali caratteristiche della fase di funzionamento del progetto (in particolare dell’eventuale processo produttivo), con l’indicazione, per esempio, del fabbisogno e del consumo di energia, della natura e delle quantità dei materiali e delle risorse naturali impiegate (quali acqua, territorio, suolo e biodiversità); d) la stima della tipologia e della quantità dei residui e delle emissioni previste (quali inquinamento dell’acqua, dell’aria, del suolo e del sottosuolo, rumore, vibrazione, luce, calore, radiazione ecc.) e della quantità e della tipologia di rifiuti prodotti durante le fasi di costruzione e di funzionamento.  La descrizione delle alternative ragionevoli (ad esempio in termini di concezione del progetto, tecnologia, ubicazione, dimensioni e portata) prese in esame dal committente, adeguate al progetto proposto e alle sue caratteristiche specifiche, indicando le principali ragioni alla base dell’opzione scelta, incluso un raffronto degli effetti ambientali.  La descrizione degli aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente (scenario di base) e una descrizione generale della sua probabile evoluzione in caso di mancata attuazione del progetto, nella misura in cui i cambiamenti naturali rispetto allo scenario di base possano essere valutati con uno sforzo ragionevole in funzione della disponibilità di informazioni ambientali e conoscenze scientifiche.
La descrizione dei fattori specificati all’articolo 3, paragrafo 1, potenzialmente soggetti a effetti significativi derivanti dal progetto: popolazione, salute umana, biodiversità (ad esempio fauna e flora), territorio (ad esempio sottrazione del territorio), suolo (ad esempio erosione, diminuzione di materia organica, compattazione, impermeabilizzazione), acqua (ad esempio modifiche idromorfologiche, quantità e qualità), aria, clima (ad esempio emissioni di gas a effetto serra, gli impatti rilevanti per l’adattamento), beni materiali e patrimonio culturale, ivi compresi gli aspetti architettonici e archeologici, e paesaggio. Una descrizione dei probabili effetti rilevanti sull’ambiente del progetto, dovuti, tra l’altro: a) alla costruzione e all’esistenza del progetto, inclusi, ove pertinenti, i lavori di demolizione; b) all’uso delle risorse naturali, in particolare del territorio, del suolo, delle risorse idriche e della biodiversità, tenendo conto per quanto possibile della disponibilità sostenibile di tali risorse; c) all’emissione di inquinanti, rumori, vibrazioni, luce, calore, radiazioni, alla creazione di sostanze nocive e allo smaltimento e recupero dei rifiuti; d) ai rischi per la salute umana, il patrimonio culturale o l’ambiente (ad esempio in caso di incidenti o calamità); e) al cumulo con gli effetti derivanti da altri progetti esistenti e/o approvati, tenendo conto di eventuali problemi ambientali esistenti, relativi ad aree di particolare importanza ambientale suscettibili di risentirne gli effetti o all’uso delle risorse naturali; f) all’impatto del progetto sul clima (ad esempio natura ed entità delle emissioni di gas a effetto serra) e alla vulnerabilità del progetto al cambiamento climatico; g) alle tecnologie e alle sostanze utilizzate.
La descrizione dei possibili effetti significativi sui fattori specificati all’articolo 3, paragrafo 1 include sia effetti diretti che eventuali effetti indiretti, secondari, cumulativi, transfrontalieri, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi del progetto. La descrizione deve tenere conto degli obiettivi di protezione dell’ambiente stabiliti a livello di Unione o degli Stati membri e pertinenti al progetto.
La descrizione dei metodi di previsione o dei dati utilizzati per individuare e valutare gli effetti significativi sull’ambiente, incluse informazioni dettagliate sulle difficoltà incontrate nel raccogliere i dati richiesti (ad esempio carenze tecniche o mancanza di conoscenze) nonché sulle principali incertezze riscontrate. Una descrizione delle misure previste per evitare, prevenire, ridurre o, se possibile, compensare gli effetti negativi significativi del progetto sull’ambiente identificati e, ove pertinenti, delle eventuali disposizioni di monitoraggio (ad esempio la preparazione di un’analisi ex post del progetto). Tale descrizione deve spiegare in che misura gli effetti negativi significativi sull’ambiente sono evitati, prevenuti, ridotti o compensati e deve riguardare sia le fasi di costruzione che di funzionamento. Una descrizione dei previsti effetti negativi significativi del progetto sull’ambiente, derivanti dalla vulnerabilità del progetto ai rischi di gravi incidenti e/o calamità che sono pertinenti per il progetto in questione. A tale fine potranno essere utilizzate le informazioni pertinenti disponibili, ottenute sulla base di valutazioni del rischio effettuate in conformità della legislazione dell’Unione come la direttiva 2012/18/UE del Parlamento europeo e del Consiglio o la direttiva 2009/71/Euratom del Consiglio, ovvero di valutazioni pertinenti effettuate in conformità della legislazione nazionale, a condizione che siano soddisfatte le prescrizioni della presente direttiva. Ove opportuno, tale descrizione dovrebbe comprendere le misure previste per evitare o mitigare gli effetti negativi significativi di tali eventi sull’ambiente, nonché dettagli riguardanti la preparazione a tali emergenze e la risposta proposta. Un riassunto non tecnico delle informazioni trasmesse sulla base dei punti da 1 a 8. Un elenco di riferimenti che specifichi le fonti utilizzate per le descrizioni e le valutazioni incluse nel rapporto».
Ebbene, da una simile articolazione analitica del rapporto di valutazione dell’impatto ambientale è agevole inferire che il progetto in quest’ultimo vagliato non possa non avere un’articolazione altrettanto analitica. Se, quindi, tale è il quadro euro-unitario di riferimento, si intende, allora, come il legislatore nazionale, nell’art. 5, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 152/2006, abbia «legato l’acquisizione della VIA, da un lato, al grado di precisazione e dettaglio dei lavori da eseguire (in modo che non rimangano aspetti e profili che possano sfuggirvi), e dall’altro, alla ragionevole probabilità che la progettazione definitiva introduca sensibili modifiche a quella preliminare», nella plausibile considerazione «che le modifiche al preliminare siano circostanza fisiologica e così statisticamente probabile» da rendere «opportuno il raggiungimento di uno stadio progettuale definitivo prima di valutare l’impatto ambientale» (Cons. Stato, sez. IV, 20 maggio 2014, n. 2569; sul punto, cfr. anche TAR Toscana, Firenze, sez. I, 27 maggio 2019, n. 789, n. 790, n. 791, n. 792 e n. 793, secondo cui, «se le opere da realizzare non sono state compiutamente definite, è la stessa valutazione di compatibilità ambientale a risultare parziale, non essendo stato possibile verificare in che misura l’ambiente ne risulterebbe modificato»).
Tanto, senza che, peraltro, l’innovazione apportata all’art. 5, comma 1, lett. g, del d.lgs. n. 152/2006 dall’art. 2, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 104/2017 (inapplicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame) abbia significativamente modificato la regola di analiticità progettuale sancita nella previgente versione della norma definitoria (introdotta dall’art. 15, comma 1, lett. a, del d.l. n. 91/2014): il progetto di fattibilità tecnica ed economica, sostituito al progetto definitivo ai fini dell’assoggettamento a VIA, attinge, infatti, un livello informativo e di dettaglio superiore rispetto al progetto preliminare, nella misura in cui, ai sensi dell’art. 23, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 50/2016 deve individuare, tra più soluzioni, quella col miglior rapporto costi/benefici per la collettività, contenere tutte le indagini e gli studi necessari alla definizione dei lavori da realizzare, gli schemi grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori e le relative stime economiche (compresa la scelta sulla possibile suddivisione in lotti funzionali), le indagini geologiche, idrogeologiche, idrologiche, idrauliche, geotecniche, sismiche, storiche, paesaggistiche ed urbanistiche, le verifiche relative alla possibilità del riuso del patrimonio immobiliare esistente e della rigenerazione delle aree dismesse, le verifiche preventive dell’interesse archeologico, gli studi di fattibilità ambientale e paesaggistica, evidenziare, con un adeguato elaborato cartografico, le aree impegnate, le eventuali fasce di rispetto relative ad esse e le occorrenti misure di salvaguardia, indicare le caratteristiche prestazionali, le specifiche funzionali, le esigenze di compensazioni e di mitigazione dell’impatto ambientale, i limiti di spesa dell’infrastruttura da realizzare al fine di consentire sin dal primo momento l’individuazione della localizzazione o del tracciato dell’infrastruttura, nonché delle opere compensative o di mitigazione dell’impatto ambientale e sociale.
6.4.2.2. Più in generale, questa Sezione ha pure avuto modo di rilevare, nella citata sentenza n. 2253 del 23 dicembre 2019, che, di fronte al dubbio interpretativo, i principi e gli obiettivi ordinamentali in materia ambientale militano a favore di un approccio istruttorio particolarmente rigoroso ed approfondito, quale, appunto, nella specie, quello fondato su una base progettuale caratterizzata da un adeguato livello informativo e di dettaglio.
I principi in parola – recita la pronuncia richiamata – «inducono ad ampliare lo spettro dell’indagine circa i risvolti ambientali dell’opera a farsi, poiché sono teleologicamente volti al perseguimento del massimo rispetto dell’ambiente (artt. 3 ter, 3 quater e 3 quinquies del d.lgs. n. 152/2006); declinano quest’ultimo secondo un’accezione lata e contemplante un insieme di componenti (la salute umana, popolazione, beni materiali, patrimonio culturale, paesaggio, etc.) che si allontanano anche dalla nozione primigenia di ambiente legata prevalentemente agli habitat naturali (e alla loro salvaguardia) (art. 5, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 152/2006); si proiettano in un’ottica diacronica e che guarda alle future generazioni attraverso il riferimento allo sviluppo sostenibile e al principio di precauzione (art. 3 ter e 3 quater del d.lgs. n. 152/2006)».
Nel contempo, gli obiettivi perseguiti in materia si declinano in un quadro coerente con i principi anzidetti e consistono nella «promozione dei livelli di qualità della vita umana», nella «salvaguardia» e nel «miglioramento delle condizioni dell’ambiente», nell’«utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali» (art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 152/2006), ossia nel «proteggere la salute umana», nel «contribuire con un miglior ambiente alla qualità della vita», nel «provvedere al mantenimento delle specie» e nel «conservare la capacità di riproduzione degli ecosistemi in quanto risorse essenziali per la vita» (art. 4, comma 4, lett. b, del d.lgs. n. 152/2006), avuto riguardo agli impatti ambientali, intesi come effetti significativi, diretti e indiretti, di un progetto, sui fattori costituiti dalla popolazione, dalla salute umana, dalla biodiversità, dal territorio, dal suolo, dall’acqua, dall’aria e dal clima, dai beni materiali, dal patrimonio culturale, dal paesaggio, anche nelle loro reciproche interazioni (art. 5, comma 1, lett. c, del d.lgs. n. 152/2006). Obiettivi, questi, «che postulano un grado di approfondimento e di completezza dell’attività amministrativa».
«Da ciò si trae – conclude la Sezione nella decisione richiamata – che nel tratteggiare i confini dell’istruttoria da compiere e, in particolar modo, il novero degli aspetti che devono essere presi in considerazione, l’amministrazione competente (o quella comunque implicata nel procedimento oppure il privato interessato alla decisione finale) deve procedere, nel dubbio, ove il dato normativo non sia perspicuo, ampliando quello che è il campo d’indagine, lasciandosi guidare, nella selezione dei risvolti da indagare e degli elementi da prendere in considerazione, da quelle che sono le finalità che la normativa si prefigge, facendo perciò entrare una determinata variabile nell’ambito dello studio/attività istruttoria preordinato/a alla decisione finale ove essa sia potenzialmente suscettibile di essere incisa dal tipo di progetto che si va giudicando». n ulteriore approccio ermeneutico, di ordine storico-evolutivo, consente, infine, di prescindere anche dal passaggio disapplicativo dianzi prospettato.
Ed invero, è di tutta evidenza l’anteriorità cronologica della disciplina e della prassi relative al Master Plan (art. 1, comma 6, del d.l. n. 251/1995; art. 8, comma 4, lett. a, del d.p.c.m. 27 dicembre 1988; paragrafo B della circolare del Ministero dei Trasporti e dei Lavori Pubblici n. 1408 del 23 febbraio 1996; Linee guida ENAC del 1° ottobre 2001 per la redazione dei Piani di Sviluppo Aeroportuale; circolare ENAC APT21 del 30 gennaio 2006; nota ENAC prot. n. 27678 del 2 maggio 2008) rispetto alla stratificazione normativa sopravvenuta con riferimento alla tipologia progettuale richiesta per il procedimento di VIA. Conseguentemente, in omaggio agli enunciati valori primari di tutela ambientale, e in una prospettiva dinamica di adeguamento dei moduli procedimentali del settore aeroportuale agli sviluppi dei moduli procedimentali del settore ambientale, con i primi interferenti e, per di più, agli stessi sovraordinati, la disciplina e la prassi anzidette non avrebbero potuto non arricchirsi degli elementi innovativi introdotti, segnatamente, quanto alla richiesta analiticità della base progettuale, rispetto alla succinta regolamentazione della VIA coeva a quella (tuttora vigente) del PSA (cfr. art. 2 del d.p.c.m. 10 agosto 1988, n. 377, ove si fa riferimento a «progetti di massima»; artt. 5 e 6 del d.p.r. 12 aprile 1996) o, comunque, previgente a quella applicabile ratione temporis (cfr. art. 5, comma 1, lett. g [ex e], del d.lgs. n. 152/2006, nella versione anteriore alla modifica operata dall’art. 15, comma 1, lett. a, del d.l. n. 91/2014). Per modo che, in virtù del già evocato criterio di specialità reciproca, la VIA richiesta avrebbe dovuto logicamente e indefettibilmente pronunciarsi secondo l’iter suo proprio, riservatole dal legislatore, a prescindere dalla peculiarità del relativo oggetto, costituito dal Master Plan controverso.
In conclusione, stante la ravvisata fondatezza dell’ordine di doglianze scrutinato retro, sub n. 6, il ricorso in epigrafe ed i relativi motivi aggiunti vanno accolti nei sensi e nei limiti sinora indicati, con conseguente annullamento in parte qua degli atti con essi impugnati.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio. Le ulteriori censure non espressamente esaminate sono da reputarsi inidonee a supportare una conclusione di tipo diverso ovvero necessitanti di approfondimenti istruttori comportanti l’allungamento dei tempi del presente giudizio e un aggravio di costi per le parti, senza, però, l’attitudine a comportare una diversa conclusione, con conseguente assorbimento delle stesse. Considerati i profili di reciproca soccombenza e la oggettiva difficoltà della materia trattata, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese di lite, salvo il rimborso del contributo unificato, che va posto a carico delle parti resistenti, in solido tra loro”.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, accoglie, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, il ricorso in epigrafe ed i relativi motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla in parte qua gli atti con essi impugnati, scrivono i giudici (Maria Abbruzzese, Presidente, Olindo Di Popolo, Consigliere, Estensore, Michele Conforti, Referendario).

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