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C’è più cibo made in Italy ma per olio, latte e cereali dipendiamo dall’estero Italia e Mondo 

C’è più cibo made in Italy ma per olio, latte e cereali dipendiamo dall’estero

Con il decreto legge Semplificazione arriva l’obbligo di indicare in etichetta l’origine di tutti gli alimenti per valorizzare la produzione nazionale e consentire «scelte di acquisto consapevoli ai consumatori contro gli inganni dei prodotti stranieri spacciati per Made in Italy», annuncia Ettore Prandini, presidente di Coldiretti. La norma consente di adeguare ed estendere a tutti i prodotti alimentari l’etichettatura obbligatoria del luogo di provenienza geografica degli alimenti ponendo fine ad un lungo e faticoso contenzioso aperto con l’Unione europea oltre 15 anni fa.

L’obiettivo della norma è di valorizzare la materia prima italiana così come è successo per il grano duro. Nel bilancio delle importazioni diffuso dall’associazione nazionale dei cerealisti c’è la conferma di una situazione di dipendenza dai mercati esteri: nei primi dieci mesi del 2108 le importazioni sono aumentate dell’1,7% rispetto al 2017. Ma c’è un dato che potrebbe segnare un punto di svolta: l’acquisto all’estero di grano è diminuito di 392 mila tonnellate. Un calo che potrebbe essere legato proprio all’introduzione dell’etichettatura obbligatoria sulla pasta che ha rilanciato il grano duro italiano con «la rapida proliferazione di marchi e linee che garantiscono l’origine nazionale al 100% del grano impiegato, impensabile fino a pochi anni», spiega Coldiretti.

Tesi che dovrà essere confermata dai bilanci dei prossimi mesi anche se si allunga la lista degli industriali della pasta che si rivolgono agli agricoltori italiani. Si vedrà. Quel che è certo è che l’anno scorso, almeno secondo l’Istat, la produzione agricola italiana è aumentata dell’1,5% con una marcata crescita di attività ad alto valore aggiunto come vino e frutta. Del resto questi sono i due comparti dove l’Italia registra un surplus e una grande fetta della produzione nazionale prende così la via dei mercati esteri mentre olio di oliva, lattiero caseari e cereali sono i settori in cui l’Italia è storicamente deficitaria.

Secondo i ricercatori dell’Ismea dal 2007 a oggi il valore delle nostre esportazioni agroalimentari è cresciuto di quasi il 70%, mentre nello stesso periodo l’incremento delle importazioni è stato decisamente inferiore (+32%), determinando un netto miglioramento della bilancia commerciale. L’Italia, insomma, continua ad importare più di quanto esporta «perché strutturalmente deficitaria di alcune materie prime, ma negli ultimi 10 anni ha dimezzato il saldo negativo della sua bilancia commerciale, e questo – spiegano i ricercatori Ismea – grazie esclusivamente al contributo dell’industria alimentare».

Gap che sono difficili da colmare anche perché, soprattutto per quanto riguarda l’olio d’oliva, si aggiungono i problemi legati a maltempo e alla xylella che hanno prodotto una forte contrazione produttiva nelle ultime due campagne e il «quantitativo di olio importato e destinato a soddisfare i fabbisogni dell’industria tende chiaramente a crescere ulteriormente».

Mentre per il settore lattiero caseario, ma in generale per tutto il comparto zootecnico «scontiamo i vincoli strutturali del territorio italiano privo delle grandi estensioni necessarie per lo sviluppo di un settore ad alto fabbisogno di suolo come quello zootecnico», spiegano i ricercatori di Ismea. Gli allevamenti italiani, dunque, «non hanno dimensioni tali da soddisfare il fabbisogno interno di materia prima». E non è un caso che due prosciutti su tre derivano da maiali stranieri. Ma l’Italia importa anche formaggi che «generalmente vanno a occupare i posizionamenti “primo prezzo” del mercato, essendo gran parte dell’ industria casearia nazionale orientata alle indicazioni geografiche di qualità o al prodotto freschissimo»

Intanto Confagricoltura lancia l’allarme sulla costante e continua diminuzione delle superfici di barbabietole da zucchero che in undici anni si sono contratte di quasi il sessanta per cento. L’organizzazione agricola lancia un appello all’Unione Europea perché vengano attivate «al più presto misure eccezionali per salvaguardare queste colture penalizzate dal crollo dei prezzi scesi da 500 euro a tonnellata dell’anno scorso a poco più di 300». (fonte: lastampa.it)

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