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Caso Givova Scafati, le precisazioni della società: “Non si parla di doping, contestato il metodo” Sport 

Caso Givova Scafati, le precisazioni della società: “Non si parla di doping, contestato il metodo”

La Givova Scafati ha incontrato ieri pomeriggio gli organi di stampa locale e nazionale per rappresentare la posizione societaria in ordine alla richiesta di squalifica di sei mesi per coach Marco Calvani, un anno per gli atleti Giorgio Sgobba e Gabriele Romeo e quattro anni al medico sociale dottore Andrea Inserra, mosse dalla P. N. A.. Tra i presenti, hanno preso parola i due legali che si occupano della procedura, ovvero gli avvocati Vittorio D’Alessandro e Giovanni Allegro, accanto ai quali si sono presentati entrambi i medici Andrea Inserra e Renato Acanfora, nonché il direttore generale Gino Guastaferro ed il tecnico Marco Calvani. All’unisono hanno tutti ribadito con veemenza, a chiare lettere, l’estraneità della società da qualsiasi forma di utilizzo di sostanze dopanti, sottolineando che l’indagine della P. N. A. ha preso le mosse dalla fotografia condivisa da coach Marco Calvani sul proprio profilo Facebook raffigurante due atleti gialloblu (Giorgio Sgobba e Gabriele Romeo) sottoposti a flebo ed in particolare alla metodologia utilizzata nella somministrazione della medesima. L’avvocato Vittorio D’Alessandro ci ha tenuto a precisare: «Non si parla di doping. Sia chiaro. Nessun atleta è risultato positivo a sostanze illecite. La contestazione sollevata al coach e al medico sociale, in attesa che vengano notificate quelle ai due giocatori, si riferisce al metodo di somministrazione di farmaci leciti. In 18 anni di partecipazione ai campionati professionistici, mai questa società ha avuto atleti che sono stati trovati positivi, sebbene ogni anno vengano eseguiti almeno cinque o sei controlli. Quello dell’anno passato riferito a Miles è stato un episodio isolato, verso il quale la società ha preso una posizione chiara e netta, licenziando l’atleta. In quel caso, il ragazzo era risultato positivo alla cannabis e, pertanto, va esclusa ogni ingerenza dei nostri sanitari, che, invece, in questo caso, hanno eseguito semplicemente una terapia per aiutare gli atleti affetti da un virus gastrointestinale. Nessuna prestazione degli atleti è stata mai alterata, ciò che ci viene contestato è il metodo e basta». In merito è intervenuto anche l’avvocato Giovanni Allegro: «Chiunque tra i presenti avrà probabilmente assunto nella propria vita medicinali come Spasmex e Plasil, banalissimi rimedi per gastroenteriti, mal di pancia e conati di vomito, di cui soffrivano gli atleti in questione. Non si trattava quindi di sostanze dopanti, ma di prodotti che potevano liberamente essere assunti per quelle determinate patologie. La trasparenza dell’operato sta non solo nell’uso di medicinali per i quali non occorre alcuna prescrizione medica, ma anche nella metodologia usata, visto che, nel caso di specie, sussistevano tutte le relative condizioni di somministrazione. La P. N. A. ha mosso tali richieste solo sulla base di supposizioni, senza alcuna prova. Viene contestata la metodologia della somministrazione, che, secondo la P. N. A., per dei sintomi apparsi la domenica sera, il loro aggravarsi non avrebbe giustificato l’utilizzo dei medicinali suddetti, ritenuti non urgenti, pur senza disporre di alcun dato empirico a sostegno di tale supposizione». Il dottore Andrea Inserra ha affermato: «Quando ho visitato all’epoca i ragazzi, ho diagnosticato loro una forma di gastroenterite acuta, una malattia tutt’altro che banale, soprattutto per le conseguenze. Sulla base della mia esperienza quarantennale, ho ritenuto opportuno praticare una terapia d’urgenza per bloccare la sintomatologia e accelerare il processo di guarigione. Ho praticato una fiala di Plasil ed una di Spasmex in soluzione fisiologica, perché preferisco farle in infusione endovenosa nella quantità di 50 ml. L’infusione ha rispettato tutti i crismi». La parola è passata poi al dottore Renato Acanfora: «Ci siamo limitati a curare dei pazienti che avevano problemi di vomito e diarrea, per curare i quali siamo stati costretti ad adottare la somministrazione endovenosa del medicinale. In quel momento, i due atleti stavano male e, nel rispetto della normativa antidoping, abbiamo adottato la posologia e la cura ritenuta opportuna. Il nostro operato è stato assolutamente limpido e corretto». Per la società canarina il general manager Gino Guastaferro ha affermato: «Questa società ha cinquant’anni di storia, di cui almeno diciotto nei campionati maggiori, e la moralità nei confronti dei tesserati è una questione per noi imprescindibile. Abbiamo avuto decine di controlli antidoping e, tranne il caso Miles nel quale la società non aveva alcuna responsabilità ed ha preso una posizione netta nei confronti dell’atleta, mai si sono riscontrati casi di doping. C’è assoluta buon fede di tutti i deferiti e nessuno ha operato se non in buona fede, senza alcun dolo. Nonostante l’effetto lesivo del club in questa questione, la dirigenza tutta si è sempre contraddistinta per la moralità, con cui si è sempre operato nel corso degli anni». Infine è toccato al coach Marco Calvani: «Tutto nasce da una foto che io ho postato su Facebook. Ho commesso una leggerezza, nonostante i miei 29 anni di professionismo alle spalle, ma c’è assoluta trasparenza e limpidezza in quanto ho fatto, perché non c’era assolutamente nulla da nascondere. Sono molto esigente, chiedo molto ai miei giocatori, ma fuori al campo sono una persona normale e questa mia esternazione era un modo sereno di vivere un momento con goliardia, in maniera molto banale. Mi sono tenuto sempre fuori dalle questioni inerenti il doping, la mia rettitudine e trasparenza non può essere messa in discussione».

mm

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