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Bando Impresa Sicura di Invitalia, 50 milioni bruciati in un secondo Economia 

Bando Impresa Sicura di Invitalia, 50 milioni bruciati in un secondo

Cinquanta milioni di euro bruciati in un secondo.
E’ bastato un attimo per assegnare i fondi del bando Impresa Sicura di Invitalia, stanziati per rimborsare alle aziende mascherine, gel disinfettanti e dispositivi di protezione acquistati a partire dal 17 marzo.
Più che un click day, quello dell’11 maggio è stato un click moment: le 3.150 imprese che sono riuscite a prenotarsi lo hanno fatto tutte contemporaneamente alle 9 in punto.
Ora dovranno attendere il 26 maggio per completare la terza fase quella della richiesta del rimborso, ma almeno stavolta potranno fare con calma: hanno tempo fino all’11 giugno.
Secondo alcuni la rapidità con cui sono riuscite a classificarsi puzza di bot, cioè di compilatori automatici: una tecnologia che non è certo alla portata delle aziende più piccole che erano quelle più bisognose di ricevere un aiuto economico.
La selezione andata in scena l’11 maggio è stata una prova di velocità al cardiopalma che ha escluso in un colpo le altre 191.025 aziende intenzionate a candidarsi, colpevoli di aver compilato la domanda troppo lentamente.
Le graduatorie degli ammessi e degli esclusi sono state pubblicate online sul sito prenotazione.dpi.invitalia.it solo ieri pomeriggio a distanza di dieci giorni, e basta scorrere l’elenco di chi non ce l’ha fatta per notare in un colpo d’occhio che allo scoccare delle 9 e un minuto erano arrivate altre 38.141 domande seppur inutilmente.
Altre 21 mila sono fioccate nel giro di altri dieci minuti, 7 mila dopo altri dieci e il resto spalmato nel corso della giornata.
Sembra che molte imprese abbiano assoldato dei gamer professionisti allenati per partecipare a questo tipo di bandi ma non c’è stato niente da fare.
Entrare era umanamente impossibile.Molti si erano preparati con largo anticipo consultando voce per voce la guida all’utente.
Invitalia prevedendo cosa sarebbe successo aveva pubblicato online un manuale di 9 pagine per spiegare come guadagnarsi il rimborso.
Sul sito tra i documenti si leggeva: «È cura dell’utente verificare il corretto ed efficiente funzionamento dei propri dispositivi informatici, nonché della qualità della connessione Internet».
Sì, perché è di quello che si tratta: velocità di navigazione, che inevitabilmente finisce per favorire i territori con reti più all’avanguardia e penalizzare chi ha la propria sede dove la navigazione zoppica.
E poi spunta il sospetto che qualcuno abbia usato i bot (compilatori automatici), battendo gli altri sul tempo.
Nelle istruzioni veniva specificato che era vietato usare compilatori automatici e che sarebbe stato necessario ricaricare la pagina alle ore 9 per essere certi che la pagina da compilare fosse quella.
Nelle giornate precedenti l’invio era stata inserita una pagina di prova.
Per confermare la domanda c’era un captcha (test con immagini da selezionare o serie alfanumeriche da copiare e digitare) e quello di sicuro richiedeva più di un secondo.
Invece tantissimi avevano i bot.
Per molti questo metodo con cui i soldi pubblici sono messi a disposizione è veramente scandaloso e dopo questa esperienza fioccano commenti e lamentele in quanto le imprese si sentono derubate.
Un criterio di esclusione che sa tanto di lotteria, insieme ad una miopia burocratica che mette al primo posto la dotazione tecnologica (e la fortuna o la furbizia) di una azienda rispetto al suo reale bisogno economico.







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