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Asilo, Pagani rinasce nel nome di Felicetta Confessore Provincia Provincia e Regione 

Asilo, Pagani rinasce nel nome di Felicetta Confessore

“Questa mattina Pagani è rinata nel nome di Felicetta Confessore, con l’inaugurazione dell’asilo nido comunale. Da lunedì in ogni stanza, in ogni guizzo di gioia di ciascun bambino, in ciascuna letterina pronunciata, si avvertirà un po’ del suo messaggio di vita, che gelosamente custodiamo: impegno verso il prossimo e diffusione della cultura per la costruzione dei cittadini”, così il sindaco di Pagani Lello De Prisco commenta l’inaugurazione dell’asilo nido comunale che definisce “Un traguardo che Pagani aspettava da anni e che oggi si è finalmente concretizzato, grazie al lavoro dei professionisti di Azienda Consortile Agro Solidale e dell’amministrazione nostra e di chi ci ha preceduto, avviando le procedure”. Quindi il messaggio di Lucia, sorella di Felicetta, che ha letto a nome della famiglia della paganese, preside, docente, primo consigliere comunale donna a Pagani negli anni 70, che ha speso la sua vita per gli altri. “A nome delle famiglie Confessore e Sales, e in particolare mio, di mio cognato Raffaele e di mia nipote Martina, ringrazio il sindaco di Pagani, Dott. Lello De Prisco, il vice sindaco dott.ssa Valentina Oliva, gli assessori e i consiglieri comunali, per l’ intitolazione a mia sorella Felicetta dell’asilo nid comunale. Vogliamo ringraziare anche tutti coloro che hanno partecipato al sondaggio popolare sull’intitolazione. Ci auguriamo che nei prossimi anni altri edifici pubblici, altre istituzioni scolastiche, altre vie vengano intitolate a persone altrettanto meritevoli a partire dalle tante donne che hanno contribuito alle vicende storiche di questa nostra città. Non ci saremmo mai aspettati una cosa del genere. I luoghi di nascita spesso sono ingrati verso i propri figli. Soprattutto se donne. Siamo perciò felicissimi per questo dono inaspettato, per il modo innovativo con cui ci si è arrivati e per la scelta significativa di una donna a cui intitolare un’opera pubblica del valore emblematico di un asilo nido. Sarebbe bello che l’intitolazione a Felicetta sia la prima di una lunga serie di vie e di edifici pubblici dedicate a donne.
Immaginiamo che alla scelta di Felicetta abbia contribuito, oltre al suo ruolo di educatrice, il fatto che sia stata la prima donna a sedere in consiglio comunale, ormai più di 45 anni fa. Oggi ci sono molte donne in politica anche in questa nostra realtà, e Felicetta ne era contenta, ma posso assicurarvi che 50 anni fa non era così semplice. Quante incomprensioni e lacerazioni le erano costati i suoi ideali politici e la sua militanza vissuta senza fanatismi. Ma si sa che le antesignane portano sulla loro pelle il peso di scelte che anticipano i tempi, l’importante che chi viene dopo se ne ricordi. E le donne presenti nel nostro consiglio comunale se ne sono ricordate. E per la verità anche gli uomini!
Felicetta era una persona splendida. Aveva un sorriso accogliente, il sorriso di una persona pronta a capire le tue ragioni o a darti torto con comprensione. Era tenace, ma di una tenacia particolare: voleva realizzare i propri convincimenti senza mai passare per l’umiliazione dell’interlocutore. Convincere con il sorriso era nella sua natura più profonda e non un ipocrita gesto di gentilezza. Era gentile,accogliente, sempre sorridente, determinata, orgogliosa. Voleva somigliare alle cose che diceva e in cui credeva: ha costruito la sua vita in coerenza con ciò che pensava. Una femminista senza fronzoli e senza ostentazioni.
Ma è nella scuola che Felicetta ha mostrato tutta la sua carica umana, la sua determinazione e la sua passione civile. La scuola è stata la sua vocazione assorbente, prima come insegnante e poi come preside.
Perché lei è stata innanzitutto un’educatrice. Ci sono tanti nel mondo della scuola che insegnano e non imparano mai. Felicetta sapeva imparare anche da quelli a cui insegnava. Convinta che senza amore non si può trasmettere niente, e che la fermezza “aperta” alle ragioni dei discenti è più efficace della severità.. La scuola è la prima palestra di giustizia sociale che si ha a disposizione nella vita e non la si deve sprecare nel confermare quello che si è già prima di entrarvi. La scuola deve modificare quelle differenze che la famiglia e la società determinano prima dell’ingresso in un’aula.. Questo è ciò che Felicetta pensava, sulla base della lezione di un prete eccezionale come don Lorenzo Milani .
Per questi motivi ha avuto sempre una particolare attenzione per quegli alunni che a causa di problemi in famiglia (o per condizioni disagiate di partenza) incontravano maggiori difficoltà di apprendimento e di dedizione allo studio. È stata un’educatrice generosa, perché aveva una tenera preoccupazione per le ingiustizie del mondo e per tutti quelli che ne soffrivano. E anche nella scuola non sopportava l’umiliazione che si voleva impartire a quelli che stavano indietro senza loro colpa o responsabilità. Il suo profondo convincimento era che nessuno deve essere umiliato. Ancora di più se studente. Una scuola che umilia non è una scuola.
Dovunque è stata e ha operato si è battuta per i diritti dei più deboli, degli ultimi. Detestava i pregiudizi sulle persone, figuriamoci su di un alunno. Scrive nel suo libro L’ospite indesiderato, in una lettera a sua figlia Martina, “Ho sempre avuto attenzione per chi ha difficoltà (di tutti i tipi), mi sento spronata, nel limite delle mie possibilità, ad aiutare o favorire chi ne ha bisogno.”. In un’altra scriveva, sempre a Martina: “Prima di tutto mi sono resa conto che devo portare avanti il discorso dell’inclusione; sono troppo i ragazzi che vengono esclusi dalla scuola. Gli insegnanti, insieme a me, devono potenziare le capacità degli allievi, farle emergere con attività e strategie coinvolgenti.. La realtà nella quale viviamo deve, secondo me, potenziarsi per arricchire il patrimonio culturale di ognuno. Non è facile ma è più gratificante. Quest’anno sono riuscita a far discutere su tale tematica sia gli insegnanti sia gli alunni: Il bilancio è positivo; molti alunni hanno modificato l’approccio verso lo studio e molti insegnanti sono più attenti alla relazione didattico-disciplinare.” E ancora: “Il lavoro di dirigente scolastico mi ha gratificato molto perché mi ha dato l’opportunità di verificare che è possibile creare ambienti lavorativi scolastici non competitivi ma basati sulla conoscenza e sul rispetto reciproco. L’insegnamento deve partire da ciò che si sa e deve essere sempre motivato. Ho lavorato bene soprattutto con i ragazzi ed è stato molto stimolante, per me, quando sono arrivata al Liceo Scientifico del mio paese: la scuola che avevo frequentato da ragazza, la scuola che mi ha fatto acquisire le capacità e le conoscenze necessarie per poter scegliere il tipo di vita che volevo. Da dirigente cercavo di invogliare gli insegnanti a creare ambienti di lavoro stimolanti e piacevoli. La conoscenza si accresce nella ricerca, nel confronto e nella rielaborazione sia singola che collettiva.”
Era tornata a scuola il giorno seguente alla dimissione dall’ospedale dopo un trapianto che l’aveva sconquassata in tutto il corpo. Perché sentiva che tornare subito a scuola sarebbe stato per lei rigenerante; il contatto con gli alunni le faceva bene.
Felicetta era una persona mite e gentile, era tenacemente attaccata alla sua indipendenza, autonomia. Una persona libera, nel senso più nobile del termine che provava un sincero fastidio per i pregiudizi e le convenzioni. Aveva una personalità forte che emergeva sempre, senza arroganza. Aveva principi morali solidi, non negoziabili, che non ostentava ma praticava quotidianamente talvolta pagando dei prezzi altissimi. La sua era una coerenza al limite del masochismo. Ma era generosa, altruista in un modo naturale, semplice. Aveva fiducia negli altri soprattutto nella possibilità che il mondo potesse migliorare anche se le battaglie che ha combattuto le hanno riservato più sconfitte che vittorie.
Pensavamo in cuor nostro che Felicetta meritasse un riconoscimento pubblico per quello che è stata, al di là della vita privata e professionale. La sua figura è oggi, con questa intitolazione, patrimonio della città e non più solo un dolce dolore privato. Noi che l’abbiamo persa sappiamo di non essere più soli nel rimpianto ma di condividerlo con tanti di voi e soprattutto con coloro che oggi guidano la collettività.
Avrebbe amato tanta pubblicità sul suo nome? No, era molto schiva e modesta, ma sarebbe stata felice che la sua città la ricordasse come donna, come antesignana dell’impegno politico, come educatrice e dirigente scolastica. Prendo in prestito, in conclusione le parole di Valerie Perrin, l’autrice del libro Cambiare l’acqua ai fiori che immagino mi avrebbe suggerito di leggere : “Parlare di te significa farti esistere, non dire niente sarebbe dimenticarti”. Ma non c’è niente di più bello nel dolore di vedere come si possa trasformare in qualcosa di utile per la collettività. Grazie ancora”.

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