You are here
Il 13 aprile del 1986 Giovanni Paolo II entra nella Sinagoga di Roma, fu la prima volta nella storia di un Papa Attualità 

Il 13 aprile del 1986 Giovanni Paolo II entra nella Sinagoga di Roma, fu la prima volta nella storia di un Papa

Era il 13 aprile del 1986, 38 anni fa, quando Papa Giovanni Paolo II fa visita alla sinagoga di Roma: fu la prima volta nella storia che un Papa entra in un tempio ebraico, accolto con gioia e a braccia aperte dal Rabbino Capo Elio Toaff (nella foto insieme a Giovanni Paolo II).
Per molti ebrei Wojtyla è il pontefice che più ha fatto per avviare un proficuo dialogo ebraico-cristiano. Nella sua giovinezza polacca ha avuto molti amici ebrei e la sua memoria è stata segnata per sempre, oltre che dal comunismo, dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e dalla deportazione degli israeliti nei campi di concentramento nazisti, specie ad Auschwitz (che sorgeva in territorio polacco). Il coronamento di questa amicizia ebraico-cristiana è stato poi il pellegrinaggio in Terra Santa nel marzo del 2000, anno giubilare, con l’intensa preghiera al muro del pianto di Gerusalemme e la spettacolare immagine del pontefice curvo che inserisce tra le fessure del muro – dove gli ebrei collocano le loro preghiere a Dio – la richiesta di perdono per le colpe dei cristiani nei confronti degli ebrei durante il bimillenario cammino della Chiesa.

 

Durante il suo pontificato, Karol Wojtyla agì concretamente per un riavvicinamento tra Chiesa ed Ebraismo, già avviato proprio da Giovanni XXIII, che nel 1959 benedì gli ebrei che un sabato uscivano dal Tempio maggiore e volle la soppressione dell’espressione “perfidi giudei” nella liturgia del Venerdì Santo.

Il cuore di quell’incontro in Sinagoga fu in questa affermazione divenuta celebre all’interno di un ampio discorso di amicizia e fraternità: “la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’Ebraismo “scrutando il suo proprio mistero”. La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”.

E come raccontava Toaff durante la beatificazione di Giovanni Paolo II, alle agenzie, è “scritto nel Talmud ogni generazione conosce l’avvicendarsi di 36 uomini giusti, dalla cui condotta dipendono i destini dell’uomo. Sono questi i giusti delle nazioni, che portano in sè più degli altri la shekhinah, la presenza di Dio’. Sono i giusti che ci indicano la via del bene, avendo dedicato la loro vita al servizio del prossimo e alla gloria dell’Eterno. Nell’ebraismo, come è noto, non ci sono santi, ma soltanto giusti, e la canonizzazione di un santo è un fatto interno della Chiesa cristiana. Ma noi ebrei in questo momento vogliamo sottolineare che niente si attaglia meglio alla figura di Giovanni Paolo II della qualifica di giusto”.

Nella sua giovinezza Karol Wojtyla ha avuto molti amici ebrei e la sua memoria è stata segnata per sempre, oltre che dal comunismo, dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e dalla deportazione degli israeliti nei campi di concentramento nazisti, specie ad Auschwitz. Il coronamento di questa amicizia ebraico-cristiana sarà il pellegrinaggio in Terra Santa nel marzo del 2000, anno giubilare, con l’intensa preghiera presso il Muro del Pianto di Gerusalemme e la spettacolare immagine del pontefice curvo che inserisce tra le fessure del muro – dove gli ebrei collocano le loro preghiere a Dio – la richiesta di perdono per le colpe dei cristiani nei confronti degli ebrei durante il bimillenario cammino della Chiesa.

io

scritto da 







Related posts