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San Matteo al tempo del covid, il vescovo Bellandi: “Il coronavirus ha portato malessere” Attualità Primo piano 

San Matteo al tempo del covid, il vescovo Bellandi: “Il coronavirus ha portato malessere”

L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO DI SALERNO BELLANDI PER SAN MATTEO

Saluto innanzitutto, cordialmente, le diverse autorità civili e militari presenti, oggi
rappresentate dai soli vertici, per le note restrizioni cui abbiamo dovuto e voluto sottostare. Saluto con particolare affetto i diversi Vescovi che ci onorano della loro gradita presenza, i sacerdoti e i diaconi, anch’essi in rappresentanza dei molti che non hanno potuto partecipare di persona, sempre per il rispetto delle norme ministeriali che prevedono un numero limitato di presenze nelle celebrazioni all’interno dei luoghi di culto. Saluto cordialmente anche gli altri fedeli – in rappresentanza delle diverse Parrocchie, associazioni, gruppi e movimenti – così come i rappresentanti delle diverse paranze. Un particolare saluto, infine, ai seminaristi e a quanti – coro, volontari, personale delle forze dell’ordine, giornalisti – contribuiscono a vari livelli allo svolgimento ordinato e solenne della celebrazione. Da ultimo un affettuoso saluto anche a coloro che ci seguono da casa, collegati attraverso Telediocesi e i diversi mezzi di comunicazione sociale. Quest’anno la festa del nostro Santo Patrono si celebra in un momento storico gravido di preoccupazioni, interrogativi circa il futuro, difficoltà a vari livelli, non ultime quelle concernenti la ripartenza delle attività scolastiche e quelle connesse al settore economico, con molte imprese che guardano con ansia ai prossimi mesi. Inoltre, anche il clima sociale – comprensibilmente – sembra attraversare un momento di (chiamiamola) “turbolenza”. Se nei mesi del lockdown noi tutti eravamo rimasti ammirati dal senso di responsabilità espresso dalla stragrande maggioranza delle persone, dai medici e personale sanitario ai volontari della Protezione civile, da coloro – lavorando in ambiti per così dire strategici – avevano garantito a
tutti le condizioni minimali per vivere, fino a tutti gli addetti alla sicurezza, nel momento attuale – invece – purtroppo si evidenziano nella società civile sempre più numerosi segni di insofferenza e rinnovati cedimenti alla litigiosità. La tentazione di guardare esclusivamente al proprio benessere e di “puntare il dito” verso gli altri trova sempre minore resistenza e limiti. Certamente possono a volte notare– a livello delle istituzioni, ma non solo – alcune incertezze, carenze, decisioni contraddittorie circa le vie da intraprendere per garantire al tempo stesso sicurezza sanitaria e ripresa delle diverse attività; ma non bisogna nemmeno dimenticare, però, che la crisi che stiamo attraversando è realmente complessa, difficilmente prevedibile negli
sviluppi futuri e carica di conseguenze differenziate nei molteplici settori della vita sociale. Dobbiamo perciò con lealtà riconoscerlo: le soluzioni non sono spesso facili da individuare, nonostante l’impegno e la buona volontà di molti rappresentanti della vita civile.    Il problema è che, talvolta, sembrano prevalere logiche e prospettive fortemente
individualistiche, che facilitano così il diffondersi di una conflittualità sociale che certamente non aiuta l’affronto dell’emergenza attuale, e di cui gli atti di efferata violenza, che purtroppo si registrano ormai quasi quotidianamente contro le persone più deboli e indifese, rischiano di non essere altro che la punta di un iceberg di un malessere profondo che il Covid-19 ha sì contribuito ad amplificare, ma che non ha certo generato dal nulla. Per questo risulta quanto mai significativa e appropriata ai tempi che viviamo la decisione del Santo Padre Francesco di dedicare la sua terza enciclica – che sarà da lui firmata il prossimo 3 ottobre sulla tomba di San Francesco ad Assisi – al tema della fratellanza e dell’amicizia sociale e che avrà come titolo programmatico: “Fratelli tutti”. Sarà un documento da cui sicuramente tutti e ognuno, ai diversi livelli di responsabilità, dovremo trarne motivi profondi di riflessione e anche di “conversione”, se vogliamo che il futuro della nostra società e – più in generale, del mondo intero – si incammini verso prospettive di maggiore giustizia, solidarietà, collaborazione comune.
Certamente noi cristiani dobbiamo essere i primi non solo ad indicare la strada verso
una società più umana e fraterna – diciamolo pure, più evangelica – ma dobbiamo soprattutto essere in prima fila a testimoniarla possibile, con il nostro esempio e la nostra buona volontà. Questo perché siamo stati raggiunti, scelti e convocati dal Signore e dalla sua parola salvifica ad esserne i primi testimoni credibili. E’ a questa responsabilità che ci richiama lo stesso San Paolo, nella Lettura che abbiamo appena ascoltato: «Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace. Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e
Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti». E’ a quest’opera comune che ognuno di noi è chiamato, secondo il compito che Dio gli ha affidato: “edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. Raggiungere questa pienezza di Cristo è la vocazione stessa della Chiesa e, in essa senza soluzione di continuità, del singolo cristiano. Ciò significa diventare sempre di più segno di Cristo, sua trasparenza: significa rispondere a quella chiamata alla santità che, con il Battesimo, ogni cristiano ha ricevuto, con lo stesso entusiasmo con il quale San Matteo ha risposto alla chiamata di Gesù.
Lui, pubblicano e peccatore come tutti, è stato raggiunto dallo sguardo pieno di
tenerezza e misericordia di Gesù, venuto infatti a raggiungere e chiamare non i giusti ma i peccatori, non i sani ma gli ammalati. E Matteo lo ha prontamente seguito, fino a “impastare” la sua vita con la Sua. E noi, cari fratelli e sorelle? Forse che la chiamata del Signore non ci riguarda? Forse che l’alibi del nostro essere peccatori e non adeguati costituisce un freno alla nostra risposta? Forse che la chiamata alla santità pensiamo riguardi altri, più capaci di noi e più degni? La Colletta – ovvero l’invocazione prima delle letture – ci ha fatto così pregare: « O Dio, che nel disegno della tua misericordia, hai scelto Matteo il pubblicano e lo hai costituito apostolo del Vangelo, concedi anche a noi, per il suo esempio e la sua intercessione, di corrispondere alla vocazione cristiana e di seguirti fedelmente in tutti i giorni della nostra vita». “Corrispondere alla vocazione cristiana” e seguire ogni giorno il Signore: questo è il cammino della santità e ad esso siamo tutti chiamati. Lo diceva il papa emerito Benedetto durante una sua Udienza nell’aprile 2011: «Che cosa vuol dire essere santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la santità sia una meta riservata a pochi
eletti. San Paolo, invece, parla … di noi tutti. […] La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua. […] Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno
ne è escluso… Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto che ci è comunicata e che ci trasforma. […]». Che cosa è essenziale? – si domanda ancora Papa Benedetto. «Essenziale è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell’Eucaristia; questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo letto con Cristo, che è semplicemente l’esplicitazione di che cosa sia carità in determinate situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che  Dio ci ha comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza per la carità verso Dio e verso il prossimo”». Sulla stessa lunghezza d’onda, anche Papa Francesco parla della chiamata di tutti alla santità, quella santità – come la chiama lui, con quelle espressioni semplici che colpiscono – “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità”. E aggiunge: « Per essere santi
non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la
tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali. Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto
dello Spirito Santo nella tua vita». Carissimi, da tempo immemorabile questa città ha trovato nel suo Santo Patrono Matteo e in ciò che la sua vita rappresenta e testimonia – ovvero tutta la grandezza e ricchezza dell’annuncio evangelico e della tradizione cristiana – un punto di riferimento fondamentale per costruire una vita sociale fondata sugli ideali del rispetto della persona, dell’uguaglianza, dell’accoglienza della difesa del più debole, della carità. Quest’anno, nel quale, per le note ragioni, non si svolgerà la processione, siamo forse provvidenzialmente “costretti” a riandare all’origine vera e autentica della nostra devozione a San Matteo, per ritrovarne lì le radici più
profonde e spirituali. Chiediamo quindi allo stesso San Matteo – e tramite lui al Signore – che ci aiuti a ritrovare nel patrimonio della fede i motivi adeguati e la forza necessaria per vivere in pienezza il nostro compito e la nostra responsabilità di cristiani in questo difficile ma stimolante “cambiamento d’epoca”, come lo chiama Papa Francesco. Sarebbe, questo, un modo per onorare e festeggiare il nostro Patrono con più verità e maggior frutto, per ciascuno di noi e per l’intera comunità – civile ed ecclesiale – di Salerno”.

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