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Polizza “fantasma”: donna di Salerno perde i soldi e non viene risarcita Cronaca Primo piano 

Polizza “fantasma”: donna di Salerno perde i soldi e non viene risarcita

Ventiquattro anni per un “no”. Quello con cui la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una donna salernitana, che nel 1994 ha consegnato 80 milioni di lire a un agente assicurativo perché li versasse su un fondo d’investimento e che quei soldi, invece, li ha visti sparire. Per il danno subìto la donna aveva chiesto di potersi rivalere non solo sull’agente, che dopo la condanna in primo grado era già risultato irreperibile per il giudizio di appello, ma anche nei confronti della compagnia di assicurazione, una delle principali società italiane. I giudici di secondo grado glielo hanno invece negato e adesso anche la Cassazione ha respinto il suo ricorso, condannandola inoltre al pagamento delle spese processuali sostenute dall’impresa assicurativa, per un totale di oltre 4mila euro. Già nel mese di febbrario, pronunciandosi su un altro caso che riguardava lo stesso professionista “infedele” per la somma di 89 milioni di lire, la Corte si era espressa sposando la tesi della non responsabilità dell’impresa assicuratrice per l’operato del suo subagente. Adesso proprio la dichiarata irreperibilità in sede di appello finisce per costituire un ulteriore elemento che sgrava la compagnia da ogni obbligo di risarcimento. Ma partiamo dall’inizio. È il 18 giugno del 1994 quando la signora consegna nelle mani di M.R. gli 80 milioni, come premio unico per l’accensione di una polizza assicurativa. Solo molto dopo scoprirà che il denaro non è mai stato versato, la polizza non è mai stata contratta e i soldi sono quindi rimasti nelle mani del subagente, un salernitano che da molti anni lavorava nel settore e di cui non aveva, fino ad allora, motivo di dubitare. Le vicenda finisce nelle aule giudiziarie: nel marzo del 2011 il Tribunale accoglie nei soli confronti di M.R. la domanda di risarcimento proposta dalla donna, che a quel punto ricorre in appello chiedendo di poter battere cassa anche con la compagnia, ritenuta responsabile in solido e di certo più solvibile. Il secondo processo di merito, però, non si farà mai. Le notifiche indirizzate a M.R. all’indirizzo della sua ultima residenza tornano indietro per irreperibilità del destinatario, e dopo tre anni di tentativi i giudici chiudono la pratica anche nei confronti della società assicurativa, spiegando che «la mancata effettiva ottemperanza all’ordine di rinnovazione della citazione nei confronti di un litisconsorte necessario non può che determinare l’inammissibilità dell’appello, non potendosi concedere un ulteriore termine per la rinnovazione della citazione ». Alla donna truffata non resta che la carta della Cassazione. L’avvocato Cristiano Pennacchia stila il ricorso articolandolo in tre motivi, ma le argomentazioni non hanno successo. «Le posizioni processuali erano inscindibili » ribadisce la Suprema Corte. E dopo ventiquattro anni dal raggiro, la ricorrente è condannata anche a liquidare alla compagnia di assicurazione le spese del giudizio di legittimità.Fonte: La Città di Salerno

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