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INCHIESTA: perchè sono in crisi le associazioni di categoria? Economia Primo piano 

INCHIESTA: perchè sono in crisi le associazioni di categoria?

La notizia è di questi giorni: anche l’Enasco, il Patronato di assistenza sociale dei commercianti, ha abbandonato la ex Confcommercio Salerno ed è un abbandono che pesa. Di fatto di quella che fu la famosa e potente ASCOM di Salerno degli anni scorsi non resta praticamente più nulla. 

Prende spunto da qui la nostra inchiesta sulle associazioni di categoria, alimentata dalla profonda crisi del commercio cittadino che vede giorno dopo giorno ed uno dopo l’altra calare le saracinesche dei negozi storici cittadini. A ciò fa seguito un silenzio assordante proprio da parte di quelle associazioni che un tempo avevano fatto della difesa della piccola distribuzione il baluardo della loro attività. Ma che cosa è accaduto all’interno di queste organizzazioni? Che cosa ne ha determinato la crisi ed esistono progetti per il futuro?

Le associazioni industriali e commerciali sembrano non funzionare più nel rispondere alle istanze dei propri associati, come platealmente sottolineato da numerosi imprenditori che non sentono tutelati in maniera efficace i loro interessi, la cui difesa costituisce per l’appunto la ragion d’essere di ogni associazione. È evidente che se alcuni tra gli imprenditori più importanti, tra l’altro storicamente titolari di un legame fortissimo con le associazioni di rappresentanza, decidono di non farsi più rappresentare, sia necessaria da parte di queste ultime una profonda riflessione interna sulla capacità di soddisfare i bisogni per cui sono state costituite.

La crisi sembra legata a vari ordini di motivi tutti inerenti le caratteristiche fondanti delle associazioni e cioè rapporti con i sindacati e con i decisori politici. La contrattazione collettiva vive una fase di decadenza, il concetto di contratto nazionale negoziato a Roma tra le parti sociali, non è più attuale ed in linea con le riforme del mercato del lavoro approvate negli ultimi anni. Le numerose tipologie di contratto introdotte, sommate alla predilezione da parte delle aziende di negoziare in proprio, fa cadere il ruolo guida delle rappresentanze industriali e commerciali. Anche un’altra funzione chiave delle associazioni di categoria sembra venuta meno, e cioè la rappresentanza degli interessi nei confronti dei decisori. Se si considera che all’interno di un’associazione convivono varie anime: imprese di grandi dimensioni ed imprese di piccole dimensioni, imprese produttrici di prodotti ad alto contenuto tecnologico ed imprese più tradizionali e infine imprese attive in settore concorrenti, si capisce come sia di fatto impossibile fare una sintesi e presentarsi al legislatore con una posizione unica.

A prevalere sono gli interessi degli associati più forti e di quelli che occupano posizioni di vertice all’interno delle associazioni e pertanto chi si trova in minoranza, difficilmente giustifica l’adesione all’organizzazione e spesso preferisce implementare autonome azioni di lobbying. Molto probabilmente a partire dalle Confederazioni nazionali la trasformazione ha riguardato soprattutto la creazione di grandi imprese dedite ad attività finanziarie quali formazione, consulenza fiscale e del lavoro che fanno sicuramente cassa ed alimentano giri di milioni di euro.

La conseguenza è che le aziende, dal punto di vista associativo sono state completamente abbandonate e quindi cercano di interagire singolarmente con i decisori politici. Dunque è necessario capire le esigenze del nostro territorio che non si sottrae al periodo di crisi economica e di valori associazionistici. Faremo un viaggio tra le associazioni di categoria locali per riportare la fotografia dello stato attuale e per capire quali errori sono stati fatti e cosa si può fare per porre rimedio. Molte aziende e professionisti considerano la quota annuale pagata alla loro associazione di categoria al pari di un “pizzo” o in molti casi non ne sono neanche a conoscenza vista che una delle modalità di pagamento avviene attraverso una firma (ci si augura autentica) su di un modello di adesione che autorizza l’INPS alla trattenuta sui contributi previdenziali. Certo è che nessuno obbliga nessuno a fare nulla – ad esclusione degli Albi professionali – ma di sicuro questo malumore dovrebbe far riflettere.

Perché un professionista o un imprenditore dovrebbero detestare e disconoscere una realtà nata per tutelare i suoi interessi così come regolarmente avviene? Una realtà fatta di una moltitudine di gruppi di imprenditori e professionisti che si ritrovano per apprendere e restare competitivi sul mercato. Non lo fanno grazie alla loro associazione di categoria, ma seguendo altre strade, indipendenti e non riconosciute da nessuno statuto. Strade approvate però dalla Magna Carta dei valori di ogni imprenditore sano di testa, quella carta dei valori che vede i risultati come metro di giudizio universale.

Sono gruppi Facebook, corsi di formazione, percorsi formativi più strutturati e ogni forma di associazionismo operativo che porta imprenditori e professionisti a investire tempo, soldi ed energie per apprendere competenze che non riescono a trovare altrove. In questa fotografia non vediamo un testa a testa, ma uno spunto per permettere a chi per anni ha cercato di tutelare gli interessi delle imprese di farlo concretamente.

Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti e vi invitiamo a seguirci in questo viaggio esplorativo nel mondo associativo. La prima associazione a finire sotto la nostra lente di ingrandimento sarà la (ex) Confcommercio Salerno. 

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