You are here
Il 30 gennaio 2002 Samuele Lorenzi ucciso con 17 colpi alla testa nella villetta di Cogne Attualità 

Il 30 gennaio 2002 Samuele Lorenzi ucciso con 17 colpi alla testa nella villetta di Cogne

Accadde oggi: sono le ore 8.28 del 30 gennaio del 2002 quando il 118 valdostano riceve una telefonata dall’innevata e silenziosa Cogne. Una donna, Annamaria Franzoni, chiede aiuto. Il figlio Samuele (3 anni), dice, “vomita sangue”. Richiede, quindi, un intervento tempestivo. La versione della donna è che abbia trovato il bambino così dopo aver accompagnato il figlio più grande allo scuolabus. Ada Satragni, medico di famiglia, chiamata un minuto prima, arriva di lì a poco ipotizzando un’improbabile causa naturale. Aneurisma cerebrale, afferma il medico. Lava il viso al bambino e lo sposta fuori casa, adagiandolo su un cuscino. Altera così irreparabilmente quella che diventerà di lì a poco una scena del crimine. L’arrivo del 118 però esclude che le supposizioni di causa naturale possano essere giudicate vere, possibili: da un’ampia ferita nel capo di Samuele fuoriescono sangue e materia cerebrale. La sua morte è da considerarsi violenta, su questo non c’è alcun dubbio. Il bambino viene dichiarato morto alle 9.55 del mattino. Vengono chiamati i carabinieri: 17 colpi inferti alla testa con un corpo contundente contenente rame (prima si suppone un mestolo di rame, poi una piccozza e poi ancora un pentolino, ma la verità è che non c’è nessuna certezza su cosa abbia provocato la morte del bambino), ecco la causa della morte, ma questa notizia arriva solo dopo. Le ferite sulle mani indicano un tentativo di difesa, seppur debole. La donna, sin dall’inizio, appare la responsabile dell’accaduto. Tutte le indagini si riversano su di lei. Il suo pigiama, parzialmente nascosto sotto le coperte, mostra numerose tracce di sangue. Così anche le ciabatte. L’accusa balla su queste rivelazioni. «L’assassino indossava il pigiama e le ciabatte. La Franzoni indossava il pigiama e le ciabatte. La Franzoni è l’assassino» scrive il gip Fabrizio Gandini sull’ordinanza di arresto. Inoltre non vengono trovate tracce di una presenza estranea nella casa. In otto minuti, grida l’accusa, sarebbe stato impossibile per un estraneo entrare, uccidere un bambino e uscire senza lasciare tracce. Nessuna porta o finestra della casa mostra segni di forzatura, inoltre non manca nulla. Anche la borsetta della Franzoni dà bella mostra di sé in casa. Nessuno ha toccato nulla, né è stato visto. La difesa, altresì, batte su un’altra pista: il pigiama della donna giaceva sul letto. Un malintenzionato, dicono gli avvocati, vedendo la donna andare ad accompagnare il figlio maggiore allo scuolabus e ipotizzando Samuele solo in casa, si è intrufolato in casa per commettere l’atto delittuoso. I Franzoni accusano altre persone del delitto. Le accuse cadono sempre, o per alibi confermati o per una totale quanto chiara estraneità alla vicenda. La coppia viene in seguito denunciata per calunnia.  Annamaria Franzoni viene condannata nel 2004, durante il processo di primo grado con rito abbreviato, a 30 anni di reclusione. Il 27 aprile del 2007, nel processo d’appello, la pena è ridotta a 16 anni grazie ad attenuanti generiche. Il 21 maggio del 2008 la Cassazione conferma la sentenza d’appello. La stessa notte era entrata nel carcere di Bologna, dove è rimasta fino al 2014. Poi  quasi cinque anni ai domiciliari, ottenendo però il beneficio del lavoro esterno in una coop sociale e alcuni permessi per stare a casa con i due figli. Il più piccolo era nato un anno dopo il delitto.

scritto da 







Related posts