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Concorso “#leparolechesiamo, i cittadini che diventiamo”: a Milano premiati i ragazzi della  IV B dell’Istituto Superiore IPSAR “Piranesi” di Capaccio Paestum Provincia e Regione 

Concorso “#leparolechesiamo, i cittadini che diventiamo”: a Milano premiati i ragazzi della  IV B dell’Istituto Superiore IPSAR “Piranesi” di Capaccio Paestum

C’era anche una delegazione della IV B dell’Istituto Superiore IPSAR “Piranesi” di Capaccio Paestum a Segrate, presso la sede della Mondadori, alla cerimonia di premiazione del concorso “#leparolechesiamo, i cittadini che diventiamo” promosso dal Nuovo Devoto-Oli, il vocabolario dell’Italiano contemporaneo, un progetto nazionale sull’integrazione e la convivenza che parte dall’educazione e dalla formazione linguistica.

Il concorso era rivolto a tutte le scuole secondarie di I e II grado per promuovere una riflessione comune tra gli studenti sui temi dell’integrazione e della convivenza. Due concetti fondamentali nella società odierna da insegnare e promuovere proprio nell’ambiente ormai multiculturale della scuola italiana, iniziando dall’educazione e dalla formazione linguistica, che hanno un ruolo di primo piano nell’inclusione sociale. Lavorare sul significato stesso di questi termini aiuta i ragazzi ad acquisire le competenze di cittadinanza e a sviluppare una coscienza civile.

Nove le classi premiate, una vincitrice per categoria più 7 menzioni speciali, provenienti da Capaccio/Paestum, Cosenza, Gela, Gorgonzola, Milano, Pomezia, Roseto degli Abruzzi, S. Maria Capua Vetere, Siracusa. Hanno ricevuto il riconoscimento alla presenza dei due autori del Nuovo Devoto-Oli, Luca Serianni e Maurizio Trifone, in un incontro pubblico nell’Auditorium Mondadori a Segrate, moderato dallo stesso Antonelli, che ha letto anche degli estratti dai racconti premiati.

I ragazzi di Capaccio sono stati premiati con menzione speciale per il loro lavoro realizzato:

 

AMERICA

Giuseppe osservava, nostalgico, l’orizzonte davanti a sé: era un freddo pomeriggio d’inverno e lui continuava a cercare qualche risposta oltre il denso cumulo di nebbia.

Iniziò a guardarsi intorno ma ciò che riuscì a vedere, nel porto affollato, fu solo la grande quantità di persone che, come lui, si trovavano lì e poi, uno scorcio, in mezzo alla nebbia, della Statua della Libertà in lontananza. Era appena giunto in America, ed era il 10 Gennaio 1903.

Guardando la scena, subito la sua mente lo riportò al porto di Napoli: così diverso da quella grigia immagine che aveva di fronte, nei suoi ricordi la città era luminosa e calda, con il sole che si rifletteva sull’acqua del mare. E poi, pensava a tutte quelle persone conosciute ed ai suoi parenti che, visti dalla nave, si allontanavano sempre di più, lasciando in lui solamente speranze a colmare il vuoto che gli si era creato nel petto.

Sentiva ancora l’abbraccio del papà, solitamente così distante, ed il sorriso della mamma che cercava di nascondere le lacrime. Quel giorno, li aveva lasciati per cercare fortuna altrove, come la maggior parte dei suoi coetanei e, dopo tanti giorni di viaggio, ancora ricordava le voci familiari, che rendevano quell’ambiente straniero ancora più lontano e freddo.

Sbarcato, iniziò a seguire la folla, diretta al quartiere italiano: capì subito perché tutti attraversassero la confusione di quelle bancarelle colorate, che, nella loro vivacità, riportavano il cuore a casa, quella vera. Osservando quel gioco di suoni e colori diversi, perse la cognizione del tempo e, prima che se ne accorgesse, la strada si stava svuotando, e il sole iniziava a calare.

Realizzando che era già ora di cena, entrò nella prima taverna che trovò, per mangiare un piatto di pasta: nonostante la familiarità degli ingredienti, c’era qualcosa nel sapore del pasto che sembrava così diverso dai suoi ricordi dell’Italia. Ripensò al pranzo che, il giorno prima, aveva fatto sulla nave: nulla di più che pane e salsiccia, ma genuinamente italiani, con i salumi che gli amici di famiglia gli avevano regalato dopo aver appreso la notizia della sua partenza. Ancora una volta, la mente si perse nei pensieri a lui più cari.

Si diresse poi a fatica, seguendo le indicazioni dell’indirizzo che gli era stato indicato da un cugino che abitava da quelle parti. Dopo diversi tentativi ed innumerevoli informazioni chieste ai pochi passanti svegli a quell’ora, giunse a destinazione: la casa del cugino non era che di un paio di stanze; due letti e la cucinina in una, un bagno minuscolo nell’altra. Ma dopo la nave sovraffollata e le strade sconosciute, gli sembrava una reggia.

Antonio lo salutò calorosamente e, prendendogli la valigia da mano, gli indicò il letto. Dopodiché i due passarono la serata a discutere del lavoro che Giuseppe avrebbe dovuto iniziare il giorno dopo. “Ho incontrato William l’altro giorno e m’ha detto che il comune gli ha dato da costruire nu palazzo”, diceva Antonio, assicurando di averlo raccomandato bene, e che sarebbe stato accolto a braccia aperte.

Il lavoro iniziava all’alba, e non appena vi giunse si diresse al cantiere. Come il giorno precedente, l’aria era gelida e si preannunciava neve; nonostante la fatica del lavoro, non riusciva a scaldarsi: il freddo era così pungente che era penetrato fin dentro le ossa nonostante ancora avvertisse il calore del suo sole misto ad una estenuante nostalgia.

Continuò a lavorare, con solo una breve pausa, fino a sera, per tutti i giorni della settimana. Con il susseguirsi delle giornate, giunse il primo mese di soggiorno in America, ed il primo stipendio.

Scrivendo la prima lettera alla famiglia, ripensò al tempo che era trascorso: quante volte aveva sentito il bisogno di salire su una nave e poi di tornare, quante si era chiesto il perché di tutto ciò.

Ora, guardando i soldi che aveva racimolato, se ne ricordava: lo faceva per mamma e papà che, stanchi, continuavano a lavorare massacrandosi nei campi; per la sua, adesso, ancora più amata sorellina che doveva sposarsi, ed aveva bisogno di una dote; per se stesso, per cercare di avere una vita migliore, con la speranza di poter ritornare a mo’ di riscatto, un giorno, nella sua amata Napoli… per morirci a Napoli.

Che soddisfazione sarebbe stata!

 

 

 

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