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A Baronissi sabato l’inaugurazione della mostra di Arturo Pagano Provincia e Regione 

A Baronissi sabato l’inaugurazione della mostra di Arturo Pagano

Sabato 14 novembre alle ore 12 apre al pubblico la mostra di Arturo Pagano. Opere 1977-1985. Preview online e catalogo sui canali digitali del Museo e sulla Official Page Facebook. La mostra presenta oltre quaranta opere, dipinti e disegni, realizzate dall’artista tra il 1977 e il 1985 nei suoi lunghi soggiorni romani, respirando l’aria dei cambiamenti di una pittura che ritrovava una sua nuova prospettiva. Sono opere che testimoniano dei legami con il mondo mediterraneo, abitato da figure mitologiche e da archetipi che pagano lascia affiorare come segni di una sentita, profonda identità.

“Le nuove disposizioni per arginare i contagi da COVID19 – osserva Gianfranco Valiante sindaco di Baronissi – impongono la chiusura di tutti i musei presenti sul territorio nazionale. Il FRaC rispetta tali disposizione ma, al contempo, non abdica al suo ruolo di promotore di primo piano del dibattito culturale della nostra regione. Ha scelto, già con la mostra dedicata ad Ugo Cordasco che ha riscosso un largo consenso di visualizzazioni – oltre 1400 in poche settimane – di incontrare in rete i suoi sostenitori e quanti da anni seguono le attività ospitate nelle sue sale. Con la mostra dedicata ad Arturo Pagano, uno degli interpreti più interessanti dell’arte degli anni Ottanta e Novanta, il nostro museo riafferma il suo interesse a ricostruire le pagine delle vicende artistiche contemporanee della Campania”.

“Sono certo, conoscendo Arturo da poco meno di quarant’anni – scrive Massimo Bignardi nella monografia pubblicata da Gutenberg Edizioni –, che fu il segnale per ripartire, lasciandosi alle spalle le acque esondate del Calore, che attraversano Benevento e che portarono via l’attrezzatura fotografica finita nel fondo, le casse con all’interno le opere che rientravano dalla mostra, tenuta settimane prima a Colonia e, con esse, quelle sulle quali stava lavorando. È paradossale, ma del suo passato artistico si erano salvate le prime opere, i dipinti, le carte, i cartoni, che avevano segnato il suo approccio alla pittura. Ripartire, con in mano le sole opere, mai esposte, ad eccezione della mostra, la sua prima personale, tenuta a Milano, a fine anni settanta: lavori, presto accantonati, messi da parte non perché li ritenesse esperienze di una stagione tramontata, bensì per rispondere allo sviluppo di progressivi nuovi momenti creativi, alimentati dall’inquieto eclettismo che governa il suo immaginario. Alla decisione di ripartire dal ‘grado zero’, ha fatto seguito il lungo, accorto lavoro di restauro; un foglio dopo l’altro asciugato con cura, evitando interventi ex-novo, cioè rinunciando ad ingombrare con nuove colorazioni la delicata trama di segni che le carte o i cartoni avevano conservato. È stato un esercizio delicato, richiamando, a volte, emozioni lasciate al tempo, disposte, però, a dare il senso di quella durata, di cui parla Bergson, che non può non sostenersi sulla coscienza. Il recupero oggettivo, in pratica il processo che formalmente mira a restituire l’unità compositiva dell’opera, diviene motivo per ripensare alla pittura figurativa, il che non è stato l’abbandono di quel dettato astratto e neocostruttivo, che ha segnato e segna i lavori di questi ultimi cinque anni. È stato mettere in atto un processo, guidato dalla coscienza, che gli ha permesso di ricongiungersi con la pittura, con i miti, le relazioni, le passioni, che accesero la stagione, a cavallo di due decenni, nella quale, ondivago, si muoveva tra Napoli, Roma e Milano. Dai disegni, dalle tempere e, soprattutto dall’impaginato compositivo dei grandi cartoni, eseguiti dopo il 1982, che accoglieva forme a rilievo di elementi monocellulari, racchiusi in luminose auree solfuree, emergevano figure mitologiche. Sono figure di un paesaggio arcaico, che l’artista intrecciava con l’animata vita della sua terra, dei miti che, dalla scogliera sulla quale si affaccia la sua città natale, Torre del Greco, sale fin su la bocca del Vesuvio, dalla quale lo sguardo domina l’intero golfo di Partenope. Figure di una terra ancestrale, che Pagano avverte quale sua profonda identità esistenziale, come archetipo, avrebbe detto Jung, al quale si radica l’intera sua esperienza creativa”.

ARTURO PAGANO, nasce a Torre del Greco (NA) nel 1958. Si forma presso l’Istituto d’Arte della sua città natale, sotto gli insegnamenti del maestro Renato Barisani. Inizia la sua attività espositiva nel 1978, con una pittura contrassegnata da un impianto figurale. Dopo i soggiorni a Roma, nei primi anni ottanta, a metà del decennio, registra un ulteriore passaggio verso una nuova ricerca spaziale che libererà l’opera dall’elemento figurale. In questa fase l’artista utilizza catrame, ferro, fuliggine, giocando sul un contrasto polare, bianco-nero, rendendo protagonista la luce, come proposto dalle opere esposte nella mostra “Vitalità della Scultura”, curata da Massimo Bignardi e tenutasi, tra il 1989 e il 1990, a Milano, al Nuovo Spazio Aleph, alla Pinacoteca di Macerata, al Castello Aragonese di Ischia, agli Antichi Arsenali di Amalfi, al Castello di Cerro al Volturno. Nello stesso anno è invitato alla XXXIV Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea di Termoli. Le esperienze dei primi anni novanta testimoniano l’emergere della forma dal piano per affermarsi come architettura, e saranno esposte nel 1990, in occasione delle personali alla galleria Dedalos, a San Severo e alla Pinacoteca Comunale di Macerata. La breve stagione degli impaginati monocromi e del recupero dell’oggetto è proposta nell’ambito di varie mostre, tra queste “Trame del disegno italiano contemporaneo”, presso la galleria Dedalos, nel 1997 e “Paesaggi Contaminati”, nelle ex Carceri di Vitulano, nel 1998. In questi anni compaiono brani di radiografie in impianti geometrici dai colori squillanti, stesi in campiture piane. Un nuovo cambiamento di rotta si registra con la riproposizione dell’oggetto quotidiano in complessi plastici, esposti nel 1999, al XXIV Premio Sulmona. La progressiva tendenza a ridurre la distanza tra scultura e pittura, si esplica nell’utilizzo del vetro e di sempre più ampie campiture di colore rosso e giallo, sua cifra distintiva, interrotte dall’inserimento di frammenti di radiografie, come nelle opere presenti nella personale “Itinerario Inverso”, al Museo del Sannio di Benevento, nel 2003. È del 2004 la personale “Opere recenti”, presso il Museo FRaC-Baronissi. I lavori di questi anni oscillano tra immagine e forma, pittura e scultura, e puntano a dare corpo a un tentativo di aprire nuove prospettive costruttive, così come si registra nell’installazione realizzata nel 2009 nel chiostro di San Galgano, nell’ambito della rassegna promossa dalla cattedra di Storia dell’Arte contemporanea dell’Università di Siena. Nel 2010 realizza il manifesto per il Premio Strega, che gli offre l’occasione per la mostra all’I.I.C. di Vienna. Inoltre, nel 2011, viene invitato a partecipare allo “Stato dell’Arte”, Padiglione italiano della 54a Biennale di Venezia. Del 2015 sono le due personali, dal titolo “Geometrie e rilievi”, presso il Centro Luigi Di Sarro, e l’I.I.C. Colonia. Vive, lavora e pensa altrove.

L’anteprima online sarà in rete fino al 08.12.2020, mentre la mostra sarà allestita in presenza nella prossima primavera. Accompagna la mostra il volume monografico pubblicato da Gutenberg Edizioni.

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