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Accadde oggi, lo strano 2 giugno delle monarchie europee: l’Italia diede il benservito a Umberto II e Londra (7 anni dopo) incoronò l’inossidabile Elisabetta Attualità 

Accadde oggi, lo strano 2 giugno delle monarchie europee: l’Italia diede il benservito a Umberto II e Londra (7 anni dopo) incoronò l’inossidabile Elisabetta

Accadde oggi: destini opposti il 2 giugno per le monarchie europee. Nel 1946, 74 anni fa, gli italiani diedero il benservito a Umberto II caricandolo su un aereo direzione esilio a vita, dando così origine alla Repubblica (avvenne tre giorni più tardi a esito dello spoglio del voto del 2 e 3 giugno). Solo sette anni più tardi, oltre cento milioni di persone in tutto il mondo ebbero la possibilità grazie al neonato mezzo televisivo di assistere per la prima volta nella storia all’incoronazione di un sovrano, una giovane fanciulla di 27 anni.   Figlia di Giorgio VI (prese il posto del fratello Edoardo che abdicò) ed Elizabeth Bowes-Lyon, moglie di Filippo di Edimburgo,  sua Maestà Elisabetta II è sul trono di Londra da 67 anni. Aneddoti di quella cerimonia che non tolsero solennità a un evento che si rifece all’incoronazione del 1066 di Guglielmo il Conquistatore, studiato per mesi nei minimi dettagli anche perché si era deciso di permettere alle telecamere di riprendere tutti i passaggi (meno uno) della cerimonia. Che, un po’ per prassi un po’ per mancanza di denaro – «Non possiamo organizzare una festa con gli ufficiali giudiziari in casa», scherzava Winston Churchill – venne fissata sedici mesi dopo la morte di Giorgio VI e l’ascesa al trono di sua figlia. Gran cerimoniere il duca di Norfolk, che già si era occupato dell’incoronazione del papà di Elisabetta e che per settimane «abitò» dentro l’abbazia di Westminster costringendo la moglie Lavinia a interpretare sua maestà in estenuanti prove con damigelle e officianti. Sempre a lui fu affidato il compito di selezionare gli ottomila invitati, ingresso rigorosamente vietato ai divorziati, chiamati ad attenersi a un rigido dress code: per le signore abito non aderente e non più largo della sedia, braccia coperte come pure il capo, ovvero corona per le nobildonne, dentro le quali molte nascosero dei sandwich per reggere l’attesa, o cappello per le borghesi. Furono queste ultime le prime a prendere posto a Westminster, che aprì i suoi portoni alle 6 del mattino nonostante l’inizio del rito fosse fissato per le 11. Quindi l’aristocrazia, i rappresentanti delle altre case reali – indimenticabile la regina Salote Tupou III di Tonga, alta 1 metro e 91, che tornò in patria con un cab da usare come auto ufficiale – e per finire la famiglia di sua maestà al completo, fatta eccezione per la figlia Anna, troppo piccola, e lo zio Edoardo VIII: su indicazione di Churchill, il re che abdicò nel 1936 spianando la strada alla nipote venne lasciato a Parigi con la moglie Wallis Simpson. Infine l’ingresso della sovrana, che per giorni si era allenata nella sala da ballo di Buckingham Palace, già piuttosto provata dal primo tragitto Palazzo-abbazia a bordo della scomodissima Gold State Coach, trionfo rococò costruita nel 1760 e usata per ogni incoronazione da Giorgio IV in avanti. «Sto bene, sono forte come un cavallo», rispose la regina al cocchiere ben conscio degli scadenti ammortizzatori del sontuoso mezzo. Sul capo una corona della trisnonna Vittoria, Elisabetta indossava un abito di Norman Hartnell in satin bianco con maniche corte, scollo a cuore e gonna a campana sui quali erano ricamati in oro e argento i simboli del Regno Unito e dei Paesi del Commonwealth. Prima di attraversare l’abbazia, le sei damigelle le misero il mantello di velluto rosso bordato di ermellino lungo 5 metri e mezzo del quale però sua maestà si spogliò presto, come pure di ogni gioiello, per la parte più sacra della cerimonia, l’unzione. Quattro cavalieri della giarrettiera furono incaricati di coprire la regina – che nel frattempo aveva messo sopra l’abito il colobium sindonis, vestito rituale semplicissimo di lino bianco – con un baldacchino per proteggerla dalle telecamere, alle quali fu vietato di riprendere quel momento.
Invero, fosse stato per Elisabetta e Churchill, la televisione sarebbe rimasta proprio fuori da Westminster e così inizialmente era stato annunciato. Solo dopo le tante proteste pubbliche e dei giornali si fece marcia indietro, a patto però che le inquadrature fossero lontane e, appunto, non riguardassero l’unzione, durante la quale l’arcivescovo di Canterbury, massima autorità religiosa del Paese dopo il sovrano che è anche capo della Chiesa anglicana, fa un segno della croce con un olio benedetto su palmi delle mani, fronte e petto del monarca (la regina Vittoria vietò di essere toccata vicino al seno). «Per Elisabetta il vero significato dell’incoronazione stava lì, in quel gesto. In quel momento è stata consacrata, è diventata regina, è l’attimo più solenne di tutta la sua vita. Non abdicherà mai a quella promessa», ricorderà anni dopo John Andrew, il cappellano dell’arcivescovo. Si ritorna alla pompa magna con l’investitura vera e propria, durante la quale Elisabetta venne ricoperta di ori e pietre preziose. Due bracciali simboleggiano sincerità e saggezza, un guanto bianco incoraggia la dolcezza nella riscossione dei tributi mentre una spada indica la protezione contro il male. Quindi l’anello di rubini e zaffiri che rappresenta il matrimonio con la nazione, lo scettro sormontato dal Cullinan I, diamante da 530 carati, che è il bastone del potere e della misericordia e il globo con la croce sopra a ricordare la supremazia di Dio sul mondo. Infine la pesantissima corona di St Edward, 2 chili e 300 grammi, realizzata nel 1661 per Carlo II, tripudio di 444 pietre semipreziose che l’arcivescovo prima alza al cielo e poi depone sulla testa del re, nel caso di Elisabetta un poco storta. A raddrizzargliela fu il marito Filippo, il secondo a inginocchiarsi davanti a sua maestà dopo l’arcivescovo stesso, che una volta pronunciata la frase di rito – «Diventerò il tuo fedele servitore e ti proteggerò con la vita» – ruppe il rigore baciando affettuosamente su una guancia la moglie. God save the Queen, pronunciano gli invitati a fine cerimonia, mentre Elisabetta raggiunge la cappella di St Edward dove leggenda vuole che l’arcivescovo tirò fuori da sotto la cappa una fiaschetta di brandy dalla quale tutti si abbeverarono. Cambiatasi nuovamente, deposta la corona di St Edward per la più leggera Imperial Crown e rifocillatasi con un po’ di pollo condito con della maionese al curry e un po’ di albicocche (da quel momento la ricetta inventata da Constance Spry fu ribattezzata Coronation Chicken), Elisabetta e Filippo ripresero posto sulla dolorosa carrozza per un giro di due ore per Londra, dove oltre due milioni di sudditi erano scesi in strada nonostante una pioggia scrosciante. Ultimo atto il saluto dal balcone di Buckingham Palace, accanto a sua maestà il marito, i figli, la mamma e Margaret, che le cronache dicono essersi congedata da Elisabetta con: «Oggi tu sei diventata regina e io ho perso una sorella». scrisse Vanity Fair:  trecento e rotti chilometri più in giù, Edoardo VIII che non aveva fatto in tempo a organizzare la sua di incoronazione spense la Tv e disse a Wallis: «Davvero impressionante, ancor più impressionante perché lei è una donna».

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