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Accadde oggi: il 5 ottobre 1954 con il memorandum di Londra Trieste torna all’Italia Attualità 

Accadde oggi: il 5 ottobre 1954 con il memorandum di Londra Trieste torna all’Italia

Accadde oggi: era il 5 ottobre 1954 (66 anni fa) quando a Londra fu firmato il Memorandum d’Intesa tra Italia, Jugoslavia, Gran Bretagna e Stati Uniti che, dopo nove anni da quel primo giorno di maggio del 1945 quando i partigiani jugoslavi di Tito e gli italiani della formazione partigiana comunista Osoppo erano entrati a Trieste proclamando l’annessione della città alla Jugoslavia rivendicando il diritto di conquista.

Per 40 giorni le bande di Tito, migliaia di partigiani giunti in città e nei comuni vicini, si erano date alla caccia agli italiani, non solo fascisti, devastando e uccidendo. I nomi delle strade erano stati slavizzati, fu introdotta la moneta d’occupazione, la jugolira, e spadroneggiò la Milizia di difesa popolare.

Un terrore rosso e una pulizia etnica che “sorpresero” le truppe Alleate che solo con un giorno di ritardo erano arrivate a Trieste rispetto ai titini.

Il Maresciallo inglese Harold Alexander solo pochi giorni prima si era reso responsabile della consegna ai partigiani di Tito, di sloveni, croati e serbi che si erano arresi agli inglesi, con il conseguente massacro di Bleiburg quando non meno di 50mila di costoro erano stati massacrati dall’esercito titino.

Lo stesso Alexander si sentì obbligato a comunicare allo Stato Maggiore interalleato che “il comportamento degli jugoslavi sia in Austria sia in Venezia Giulia provoca un’impressione molto sfavorevole sulle truppe alleate.

Il 10 giugno, dopo aspre trattative era stato raggiunto un accordo tra Tito e gli Alleati ed era entrata in funzione la Linea Morgan con la quale gli jugoslavi arretravano e Trieste e Gorizia passavano sotto amministrazione anglo-americana.

Seguirono quindi anni di continui tira e molla diplomatici, di manifestazioni di piazza in Italia e di tragedie e barricate a Trieste.

Per sbloccare la situazione ci vollero i moti del 1953, con i morti italiani, i feriti, le decine di arresti.

A luglio del 1953 il governo (l’VIII) del democristiano Alcide De Gasperi non ottenne la fiducia e fu costretto alle dimissioni.Il nuovo governo, guidato dal democristiano di destra Giuseppe Pella (a giugno c’era stato il successo elettorale del MSI e dei monarchici), decise di risolvere la questione triestina cercando di costringere gli Alleati ad addivenire ad una soluzione politica.
Per far ciò Pella minacciò la mancata firma dell’Italia al trattato della CED (la Comunità Europea di Difesa). Contemporaneamente giunsero voci dalla Jugoslavia, di una nuova “marcia di partigiani jugoslavi su Trieste” per giungere ad una totale annessione della Zona B.

L’estate 1953 divenne calda, con l’invio di forti contingenti di truppe italiane al confine e si arrivò all’apice della tensione con la Jugoslavia.

Gli anglo-americani, non abituati a prese di posizione dure dei governi italiani, si allarmarono e in autunno presero unilateralmente la decisione di cessare il regime del Governo Militare Alleato e di affidare l’amministrazione della Zona A all’Italia.

Nel tentativo di evitare altri problemi, addirittura si giunse ad un appello radiofonico alla calma fatto ai triestini dal Generale John Winterton, comandante del Governo Militare Alleato a Trieste.

Quelli che invece non avevano alcuna intenzione di stare alla finestra e tanto meno di cedere, furono gli jugoslavi che decisero di bloccare il confine tra le due zone A e B mentre centinaia di italiani clandestinamente provvedevano a fuggire dalla Zona B onde evitare di ritrovarsi nella situazione del 1945.

Contromisure degli anglo-americani: truppe consegnate nelle caserme mentre, il 4 Novembre, per la celebrazione della vittoria nella Prima guerra mondiale, il Presidente del Consiglio Pella, attorniato da migliaia di persone, si recò al sacrario di Redipuglia a rendere omaggio ai caduti in un tripudio di tricolori.

Lo stesso giorno, sfidando il divieto di Winterton di esporre il tricolore, l’architetto Gianni Bartoli, sindaco di Trieste, fece innalzare la bandiera italiana sulla torre comunale. La rimozione della bandiera, il fermo di studenti che in piazza ne sventolavano altre, scatenò gli inglesi e iniziarono gli scontri che durarono giorni con migliaia di triestini che affrontarono gli inglesi che spararono, spararono mirando e uccidendo, inseguirono e percossero manifestanti fin dentro le chiese. Ai funerali dei giovani uccisi partecipò una folla immensa e silenziosa. Dopo la strage fatta dagli inglesi, il Generale Winterton fu convocato a Londra d’urgenza e altrettanto velocemente si aprì un tavolo di trattative. A quel punto gli Alleati anglo-americani avevano fretta di uscire dalle sabbie mobili triestine. Ai primi di dicembre iniziarono le operazioni di sgombero dei militari anglo-americani. Le trattative si svolsero a Londra, iniziate a febbraio del 1954, a maggio si raggiunse un accordo che apriva ad una soluzione; si giunse infine al 5 ottobre con la firma del Memorandum: Trieste tornava all’Italia. A Trieste la notizia rimbalzò alla radio e l’intera città scese in piazza per festeggiare.

Il 26 ottobre i bersaglieri furono i primi ad entrare in città mentre gli aerei dell’Aeronautica militare italiana partiti dalla base di Treviso sfrecciavano nel cielo e in porto ormeggiavano i cacciatorpediniere e gli incrociatori della Marina militare.

L’entusiasmo dei triestini si manifestò in mille modi: con gli inni, con gli abbracci ai soldati, con il lancio di fiori e lo sventolio di tricolori.

Dichiarerà in seguito alla Camera, in aula, il missino Renzo de’ Vidovich, che era stato tra gli organizzatori dei moti del 1953 che dettero la spallata finale che portò alla decisione di far ritornare Trieste all’Italia: “… non è per l’azione del governo italiano che Trieste è tornata all’Italia. Trieste è tornata all’Italia perché il 5 e il 6 novembre 1953 noi, gioventù nazionale di Trieste, siamo scesi nelle piazze di Trieste e abbiamo avuto sei morti e centocinquantatré feriti perché gli Alleati inglesi e americani ci hanno sparato addosso senza troppi complimenti. Non c’erano comunisti insieme a noi a combattere gli yankee, non c’erano gli uomini di sinistra: eravamo solamente noi. Abbiamo sempre detto che con noi c’erano italiani di tutti i partiti, anche se poi, quando uno moriva, o veniva colpito, in tasca trovavano la tessera della Giovane Italia, della Goliardia Nazionale e del Movimento Sociale Italiano. Ma noi continuiamo a dire che in piazza c’erano tutti gli italiani, anche se avevamo la sfortuna di cadere solo noi. Ricordo Pierino Addobbati, dalmata come me, che faceva parte del mio gruppo: era il più giovane e fu il primo che cadde; ricordo Francesco Paglia, segretario della Goliardia Nazionale, segretario della Giunta d’intesa studentesca di cui assunsi la responsabilità il 6 novembre 1953, dopo la sua morte. Ricordo Nardino Manzi, facente parte di uno dei gruppi degli attivisti più splendidi del Movimento Sociale Italiano; Erminio Bassa, lavoratore della nascente CISNAL, Saverio Montano, Antonio Zavadil e altri centocinquantatré feriti. Fummo noi e me ne assumo la responsabilità – l’amico Franco Petronio è presente e me ne può dare atto – che deliberatamente, sapendo che voi ci avreste negato quelle armi che pure avevate portato a Trieste ed erano dislocate in vari posti, facemmo la sortita contro il Governo militare alleato; fummo noi che determinammo con il sangue il ritorno di Trieste all’Italia. E se (…) vi affrettaste a firmare il Memorandum d’intesa, fu perché avevamo dato un anno di tempo e il 26 ottobre era ormai vicino a quel 4 novembre in cui saremmo insorti. Lo dicemmo responsabilmente: io ero così ingenuo che ne feci addirittura un manifesto firmato. Dicemmo chiaramente che i governi italiani non erano all’altezza della situazione (…) noi saremmo scesi in piazza, avremmo cacciato gli americani e gli inglesi – di cui volevamo essere alleati, non servi – e ci saremmo conquistati quella libertà nazionale che era il simbolo e la continuazione del Risorgimento”.

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