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Accadde oggi: il 31 maggio del 1962 finisce al patibolo la “banalità del male” Cronaca 

Accadde oggi: il 31 maggio del 1962 finisce al patibolo la “banalità del male”

Accadde oggi: era giovedì quel lontano 31 maggio del 1962. Mancava poco a mezzanotte e il condannato a morte inizia a salire i gradini che l’avrebbero portato al patibolo. «Ho fatto solo il mio dovere» ripete per l’ultima volta  Karl Adolf Eichmann prima di cadere dentro la botola.

Si concluse così a Gerusalemme la tragica parabola di uno dei più feroci gerarchi nazisti, al centro della complessa operazione ordinata dalla Germania hitleriana, passata alla storia come «soluzione finale», l’eliminazione fisica di tutti gli ebrei. Per Israele, la prima e ultima condanna a morte eseguita nella sua breve storia.

Eichmann era nato nel 1906 a Solingen, città della Renania Settentrionale-Vestfalia. Dopo un incerto percorso scolastico, abbandonò le superiori senza essersi diplomato, quindi a 17 anni iniziò a lavorare presso l’azienda di estrazione mineraria del padre. Dopo aver cambiato altri impieghi entrò in contatto con il partito nazionalsocialista di cui divenne membro fanatico e disciplinato, specializzandosi presto nella «questione ebraica». Completerà poi la sua formazione nel 1937 visitando la Palestina sotto falso nome fino a quando, scoperto dagli inglesi, venne espulso dal Medioriente. In seguito all’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania, nel 1938 si insediò a Vienna dove organizzò in maniera incredibilmente efficiente la cacciata di 50mila ebrei e la confisca dei loro beni. Ripeterà poi la stessa esperienza nel 1939 a Praga, anche se con risultati decisamente inferiori. Ma fu questo il banco di prova per dimostrare le sue capacità organizzative ed essere messo a dirigere uno dei settori più delicati della complessa macchina per lo sterminio degli ebrei: la loro deportazione verso i campi di concentramento. Un compito che gli farà dire vent’anni dopo durante il processo in Israele di non aver mai ammazzato nessuno ebreo, ma di essersi limitato a organizzare il loro trasporto con i treni blindati. Un lavoro che continuerà a svolgere alla fine del 1944 e Budapest, a guerra ormai persa. Concluso il conflitto riuscì a nascondersi nelle campagne tedesche per ben cinque anni, complice anche il fatto che tutto sommato era una figura poco nota nella dirigenza nazista. Nel 1950 riuscì a passare in Italia e, con un passaporto della Croce Rossa intestato Riccardo Klement, nato a Termeno in provincia di Bolzano, a riparare in Argentina.

Eichmann parte da Genova il 17 giugno 1950 e sbarca a Buenos Aires quasi un mese dopo, il 14 luglio, avviandosi verso Tucumàn, nel nord ovest dell’Argentina. Trova e cambia diversi lavori: come idrologo, allevatore di conigli, proprietario di una lavanderia e operaio alle officine meccaniche della Mercedes Benz. Nell’estate del 1952 si fa raggiungere a Buenos Aires dalla moglie Veronica Liebl insieme ai suoi tre figli e nel 1955 nasce un quarto figlio, Ricardo. Tutti frequenteranno il Collegio tedesco con il cognome Eichmann Klement.

In Sudamerica la famiglia vive anni relativamente tranquilli fino a quando nel 1957 il figlio Klaus fa conoscenza con Sylvia Hermann, una ragazza tedesca a cui si presenta col suo vero cognome e con cui si lascia andare ad affermazioni compromettenti sul «mancato genocidio». Senza sapere che si tratta della figlia Lothar, un ebreo di origine ceca, ex internato nel campo di Dachau. L’uomo spedisce una lettera al suo amico Fritz Bauer, procuratore generale presso la Corte d’appello in Germania, che allerta Isser Harel capo del Mossad. Il servizio segreto manda i suoi agenti a verificare ma, una volta trovate tutte le conferme che si trattava proprio di Eichmann, il governo di Tel Aviv si trova di fronte al grave problema dell’estradizione. Tra i due Paesi infatti non esistono trattati in materia. Ostacolo rimosso, organizzando un clamoroso rapimento da mettere in atto dal Mossad alla fermata del bus che dal centro di Buenos Aires deve scaricare Klement davanti alla sua casa di via Garibaldi.

L’11 maggio del 1960 Eichmann scende dall’autobus e viene affrontato da un uomo fermo con l’auto in panne «un momentito, senor». L’ex gerarca nazista capisce che è una trappola e fugge urlando ma viene raggiunto, immobilizzato e caricato nell’auto. Per dieci giorni Eichmann viene tenuto segregato e interrogato fino a quando ammette la sua vera identità. In quei giorni l’Argentina sta celebrando il 150° Anniversario dell’Indipendenza e tra le altre, viene invitata anche una rappresentanza israeliana, che arriva in Argentina con un aereo della El Al. È l’occasione da non perdere per trasportare il prigioniero fuori dall’Argentina. Il 21 maggio, poco dopo mezzanotte, Eichmann, stordito e vestito da pilota, viene fatto salire segretamente a bordo dell’aereo e trasferito in Israele.

Il 10 febbraio del 1961 si apre a Gerusalemme il processo contro il boia nazista che si difende strenuamente sostenendo di non aver mai odiato gli ebrei e di avere solo eseguito gli ordini con ogni buon soldato durante la guerra. Non nega le sue responsabilità ma, come addetto all’organizzazione dei treni diretti ai campi di sterminio, giura di non aver mai ammazzato nessun. Per tutta la durata del dibattimento si dimostra solo un uomo piccolo e ottuso, tanto da diventare il simbolo della «banalità del male», termine coniato dalla giornalista ebrea Hannah Arendt che segue il processo come inviata del settimanale New Yorker. Riconosciuto colpevole viene condannato a morte e la sentenza fissata per il 31 maggio 1962.

Eichmann rifiuta l’ultimo pasto preferendo invece una bottiglia di Carmel, vino rosso secco israeliano. Ne consuma mezza bottiglia. Poco prima che il cappio si stringa al collo avrebbe detto «Lunga vita alla Germania. Lunga vita all’Austria. Lunga vita all’Argentina. Questi sono i paesi con i quali sono stato associato e io non li dimenticherò mai. Io dovevo rispettare le regole della guerra e la mia bandiera. Sono pronto». Dopo l’esecuzione il suo corpo viene cremato e le ceneri messe in un secchio poi caricato su motovedetta militare. Giunti al largo, i marinai vuotano il contenitore in mare e lo lavano più volte per impedire che anche il minimo granello di quel «mostro» possa tornare a terra.  Il processo alla “banalità del male” fu la prima e unica condanna a morte eseguita nello Stato d’Israele.

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