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Accadde oggi: il 17 dicembre del 1973 la strage terroristica (dimenticata) all’aeroporto di Fiumicino con 32 morti Attualità 

Accadde oggi: il 17 dicembre del 1973 la strage terroristica (dimenticata) all’aeroporto di Fiumicino con 32 morti

Accadde oggi: era il 17 dicembre 1973, quarantasette anni fa, quando un attacco terroristico provocò 32 morti a Fiumicino. Dopo la guerra del Kippur di due mesi prima i paesi arabi produttori di petrolio avevano raddoppiato il prezzo del barile, ed era arrivata l’austerity, e le domeniche in bici e a piedi. Quel 17 dicembre era un lunedì, e la mattinata agli scali internazionali di Fiumicino era trascorsa tranquilla. Alle 12.50 un gruppo di arabi con solo bagaglio a mano, valigie tipo 24 ore, dopo aver superato in Spagna i controlli della guardia civil e in Italia quelli in entrata dei carabinieri, viene accompagnato nell’area transiti e si accoda ai banchi per il controllo di imbarco. Alla richiesta di controllo le valigie si aprono e scoppia il finimondo. Il gruppo di terroristi si divide: alcuni  prendono in ostaggio sei agenti, vulnerabili, perché costretti al servizio senza colpo in canna, e li trascinano giù per la rampa 14 verso il piazzale degli aerei. Altri sparano verso le vetrate, provocando un inferno di proiettili e schegge di vetro, prima di seguire gli altri. Sul piazzale ci sono tre aerei fermi. Il comandante del Boeing Air France si accorge in tempo del pericolo e fa chiudere i portelloni. Un gruppo si dirige verso il 707 “Celestial clipper” Pan American diretto a Teheran via Beirut, 56 passeggeri a bordo. Sale di corsa la scala e lancia due bombe al fosforo dentro la carlinga, accompagnando l’attacco con sventagliate di mitra. Muoiono in 29 in quella trappola, orribilmente ustionati o soffocati. Poi i terroristi si riuniscono all’altro gruppo e salgono su un 737 Lufthansa, non prima di aver ucciso, sparandogli alla schiena, l’agente Antonio Zara, 20 anni, di servizio sul piazzale sotto l’aereo tedesco, che aveva accennato a una reazione.

I terroristi prendono altri due ostaggi e costringono il comandante dell’aereo tedesco a decollare, mentre il Boeing Pan Am giace scoperchiato e fumante, con il suo carico di morte. Volano verso Atene, chiedono uno scambio prigionieri, minacciano di far precipitare l’aereo sulla città, interviene l’intelligence italiana di servizio nella capitale greca, e clamorosamente gli stessi detenuti palestinesi, due di Settembre Nero autori di un sanguinoso attentato proprio nell’aeroporto del Pireo, rifiutano lo scambio. Un altro italiano viene ucciso, si tratta del tecnico Domenico Ippoliti, e gettato giù dall’aereo. Poi un inquieto, disperato e insensato vagare. A Beirut le autorità aeroportuali impediscono l’atterraggio ponendo ostacoli sulla pista, così fanno in altri aeroporti. Infine  all’aereo viene consentito di atterrare a Damasco, ma solo per un rapido rifornimento di carburante. Una notte d’inferno, il giorno dopo è uguale, gli ostaggi si sentono perduti. Il tragico vagare termina la sera del giorno dopo a Kuwait City. Gli ostaggi sopravissuti vengono liberati, il gruppo si costituisce alle autorità kuwaitiane, alzando le mani in segno di  di vittoria. Dopo qualche giorno saranno trasferiti al Cairo, poi nulla di sicuro si saprà di loro, se non che, forse gli stessi palestinesi li abbiano eliminati.

 

Il grande clamore dei primi giorni, il cordoglio del ministero degli interni Taviani, del primo ministro Rumor, i titoloni dei giornali, le foto angoscianti, lasciarono spazio al silenzio. Per anni storici (pochi) e giornalisti (ancora meno) si sono scapicollati  per venire a capo di questa storia. Un’ipotesi è che il gruppo, finanziato come detto da Muhammar Gheddafi con armi e 370 milioni di lire, fosse comandato da un fuoriuscito ex dirigente  dell’Olp, Abdel Ghafour alias Mahamoud Sasy, poi ucciso il 12 settembre a Beirut, in una vendetta interna alle fazioni palestinesi. Problematica è anche la collocazione politica. Il periodo è cruciale: in ottobre era scoppiata la guerra del Kippur, stava per  iniziare a fine anno la conferenza di pace a Ginevra. Fu un atto contro il processo di pace? Altri mettono in collegamento la strage con il Lodo Moro, l’accordo segreto con cui l’Italia, permettendo ai palestinesi di usare la penisola come base logistica, avrebbe poi goduto di più di dieci anni di assenza di attentati palestinesi sul suolo nazionale e forniture privilegiate di petrolio. I primi colloqui segreti fra funzionari del ministero degli Esteri e palestinesi, al Cairo, iniziarono in ottobre. Ma la galassia palestinese era variegata e litigiosa e alcune fazioni, come quella di Ghafour, pronte a tutto. A Lodo già attivo, la strage poteva essere un tentativo di sabotarlo. Oppure, al contrario un tentativo di impedirne la messa in opera. Rimane certo che è stato un episodio isolato, con modalità diverse da quelle solite del terrorismo palestinese. E non rivendicato da nessuno.

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