You are here
8 marzo, formalismo celebrativo o indignazione reale? Lifestyle Primo piano 

8 marzo, formalismo celebrativo o indignazione reale?

Sempre più l’attenzione, nei recenti fatti di cronaca, tocca i temi e i drammi che si consumano in un lento stillicidio. Le violenze perpetrate nei confronti delle donne, per mano di uomini, congiunti o meno, s’affollano con cadenza preoccupante, inondando le pubblicazioni degli organi di stampa.

Ad ogni nuovo caso, ad ogni nuova vittima, evisceriamo i dettagli delle dinamiche, e si spera, inorridiamo. La sensazione, in queste, come in tragedie d’altro genere, è che la nostra lateralità, come spettatori che consumano la notizia, comodamente seduti nei nostri affanni quotidiani, ci renda o ci abbia reso assuefatti. Indignati sì, ma di quell’indignazione formale, del tutto incapace di porre un argine a certi accadimenti. Al più, restando vittime delle creazioni di spauracchi, che, come ammonimenti, condizionano la restante parte delle nostre interazioni sociali. Così da guardare l’altro con crescente sospetto.

E con il medesimo formalismo, consumiamo le celebrazioni. E anno dopo anno, la Festa della Donna la sintetizziamo in una mimosa, dagli ormai sconosciuti intenti, o nel placet non negato, neanche nelle relazioni più morbosamente arcaiche, all’uscita “sole donne”, a patto, certo, che la serata non si consumi ad ammirare giovani adoni dai muscoli oliati che, con strappi energici, lascino cadere sulla pedana ora la divisa da pompiere, ora il casco da operaio, ora le piume da capo sioux. 

In questo modo affermiamo la nostra non estraneità alle tematiche, il nostro pluralismo, farcito di ogni sfumatura ponderabile di rispetto. La nostra modernità. Sostanzialmente dimentichi di quanto arduo e lento è stato il percorso, il processo per giungere a questa “modernità”.

E altresì dimentichi di quelle mirabili figure che, al costo di battaglie di una vita, concorsero alla creazione di quegli strumenti che noi oggi così maldestramente adoperiamo. Eppure, forse in loro, dovremmo riferire, ricercando modelli positivi su cui plasmare, non solo le aspirazioni delle donne ma anche i modelli di società che queste auspicavano veder compiuti.

La storia ne è piena, eppure non la osserviamo

Christine de Pizan, Cristina da Pizzano, che nel 1390 rispondeva alla tragedia della vedovanza, che l’avrebbe voluta, come da costume del tempo, per il suo sostentamento, o riammogliata o sposa in Cristo, decidendo di restar sola e divenendo poetessa e scrittrice di professione. Confezionando i best sellers per le corti di mezza Europa. Tra i suoi ultimi scritti, un poema appassionato sulla sua contemporanea Giovanna d’Arco, l’unico scritto prima del rogo. Un altro modello, lei, di donna non esattamente allineato al pensiero dominante dell’epoca, né probabilmente a quello contemporaneo.
Pensiamo a chi si è battuta per quelle rivendicazioni.

A Rosa Luxemburg e Clara Zetkin. Nel consesso congressuale della Seconda Internazionale Socialista, nel 1907, vollero, all’interno dei vari ordini di discussione, l’introduzione anche della questione femminile e la rivendicazione del voto alle donne. Otterranno una risoluzione nella quale si impegnavano, i partiti socialisti, a lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne. Ne seguirà la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste e la Zetkin ne presiederà la segreteria. La sua rivista, Die Gleichheit (L’uguaglianza) diverrà l’organo di stampa dell’Internazionale delle donne socialiste.

A Corrine Stubbs Brown, che con piglio energico, dalle pagine della rivista The Socialist Woman, nel 1908, arringò, per quell’aspetto della risoluzione votata l’anno prima, che intendeva, per quelle future battaglie, l’esclusione delle femministe borghesi, sostenendo che “il Congresso non avrebbe avuto alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione”. Fu sempre lei, il 3 maggio dello stesso anno, a presiedere la conferenza, tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago, aperta a tutte le donne, chiamata Woman’s Day, dove si discusse dello sfruttamento delle operaie, in temi di ore di lavoro e retribuzione, e in generale della discriminazione sessuale e di suffragio.

O ancora a Nilde Iotti, che giovanissima, l’8 marzo del 46, tenne il suo primo discorso dal balcone del teatro Ariosto di Reggio, parlando a una piazza piena di donne. Ricorderà, anni dopo il suo stupore, in un Italia quella, ancora dilaniata e distrutta, alla vista di quella moltitudine di donne, composta non solo di giovani iscritte ai partiti, socialista e comunista, della cui partecipazione si era certi, ma anche le altre, le non politicamente impegnate. “Vedere le nostre madri che venivano alla festa dell’otto Marzo” – quest’ultima arrivata in Italia nei primi anni Venti e poi rapidamente messa da parte dal regime fascista- dirà “è una cosa che mi ha colpito enormemente”.

Anche i suoi sforzi concorsero a stilare la nostra Costituzione. Fu eletta tra i 556 costituenti. Solo in 21 erano donne. E oltre alle tante battaglie delle donne, sul nuovo diritto di famiglia, sul divorzio e sull’aborto, divenne la prima donna Presidente della Camera dei deputati. Resta imbattuto il suo primato. Eletta per tre volte consecutive, ricoprì la carica per quasi tredici anni, dal 1979 al 1992.

Il potere nelle mani delle donne

Il gotha europeo è al femminile. Se posiamo lo sguardo su chi occupa i più alti scanni, la Von der Layen alla Presidenza della Commissione Europea, la Metsola alla Presidenza del Parlamento Europeo e la Lagarde al governo della BCE, parrebbe, nel solco di quei diritti conquistati ed acquisiti, che tutto vada bene.
In fondo anche in Italia, con la Meloni, Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, e la Schlein, reduce dalla recentissima vittoria delle primarie del PD, che le ha affidato la segreteria di una delle principali forze di opposizione al governo, a farle da contraltare, la questione femminile parrebbe non essere più un argomento. Eppure resta un non detto.

Lo rivediamo nei social, grossomodo in tutti

In quanto strumenti potentissimi concorrono a plasmare, con tutti i fenomeni che ne scaturiscono, le pulsioni e i modelli che inevitabilmente diventano riferimenti. Un tempo si discuteva dell’aspirazione a divenire veline delle ragazze, come quella di calciatori dei ragazzi, cancellando tutto il resto. Oggi assistiamo ad uno stuolo di candidati influencer e tiktoker, che concludono spesso il loro operato nell’offerta di contenuti su ordinazione. A pagamento, più o meno hot, appositamente prodotti su Onlyfans.

Qualcuno rammenterà di quanto si è detto fossero mercificanti i media, riguardo all’utilizzo delle figure femminili nella pubblicità o in genere nella tv commerciale. Polemiche delle quali oggi, non si odono che flebili sussurri. E di questo, forse, siamo tutti responsabili. Perchè i modelli a cui ispirarsi ci sono. Per ambo i sessi, e sanno essere eroici, investiti di quell’aura mitica per la loro grandezza. Esempi di impegno, zelo e determinazione.

Pensiamo a Astro Samantha, Samantha Cristoforetti, astronauta e aviatrice, prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea e prima donna europea comandante della Stazione spaziale internazionale. La riconsegna, capace di inorgoglire tutti, nelle mani del Presidente Mattarella, nel febbraio scorso, del tricolore che si era riportata indietro dalla sua ultima missione.

In barba al suo curriculum stellare, il maggiore appunto che qualcuno ha saputo muoverle è stato sul gradimento della di Lei acconciatura. A riprova della pochezza, di contenuti ed argomenti, di una certa critica dei leoni da testiera. E questo non tiene conto affatto di quanto sia gigantesco il suo personaggio.  

TUM logo in space

Foto: creative commons






Related posts