TUTTI CINEASTI ANCHE NEL FILMARE UN REATO: MA È VERO CHE SI RISCHIA UNA CONDANNA?
Ma davvero non siamo liberi di riprendere un fatto di cronaca? Ci chiarisce il quesito l’avvocato Simone Labonia.
Filmare un reato è un gesto che oggi, nell’epoca degli smartphone, può sembrare spontaneo: documentare ciò che accade, spesso per condividerlo sui social. Tuttavia, non sempre questo comportamento è neutro o privo di conseguenze giuridiche: in alcuni casi, riprendere un reato può configurare, a sua volta, un illecito.
Il codice penale italiano distingue tra l’obbligo di denuncia (artt. 361 e 362 c.p., rivolto a pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio) e quello che grava sui privati cittadini in casi particolari (art. 364 c.p., omissione di denuncia di reato da parte del privato, se si tratta di delitti contro la personalità dello Stato o altri reati gravi). Dunque, il semplice fatto di non intervenire non è di per sé punibile, salvo queste ipotesi specifiche. Ma cosa accade quando, invece di intervenire o chiamare i soccorsi, si sceglie di filmare?
La Cassazione ha più volte chiarito che chi riprende un reato non è automaticamente responsabile. Tuttavia, possono configurarsi profili di concorso morale (art. 110 c.p.) se la ripresa è finalizzata a incoraggiare l’autore o a dare maggiore risonanza all’illecito. Inoltre, diffondere il video può integrare reati come la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza consenso (art. 612-ter c.p., cosiddetta “revenge porn”), la violazione della privacy (art. 167 Codice Privacy), o l’istigazione a delinquere e alla violenza.
Un esempio concreto: durante un’aggressione in strada, un passante decide di filmare con lo smartphone senza avvisare le forze dell’ordine. Se il video viene poi pubblicato online, esponendo la vittima a ulteriore umiliazione, il comportamento può configurare il reato di diffusione illecita di immagini lesive della dignità altrui. In tal caso, non solo l’aggressore, ma anche il “videomaker” può rispondere penalmente.
La regola, quindi, è chiara: filmare può essere lecito se serve a documentare i fatti e a metterli a disposizione delle autorità, ma diventa illecito quando si trasforma in una forma di partecipazione al reato o di lesione dei diritti fondamentali della vittima.
In quante occasioni abbiamo assistito alla pubblicazione di riprese di bullismo all’interno di istituti scolastici, al solo intento di diffondere le immagini in rete.
Le giovani generazioni debbono comprendere che non si può e non si deve assistere passivamente alla commissione di un reato: si diventa, in questo caso, automaticamente complici dello stesso.





