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Padri orchi e violenze di gruppo, quei processi dalla base fragile Cronaca Primo piano 

Padri orchi e violenze di gruppo, quei processi dalla base fragile

Processi basati su elementi probatori carenti e contraddittori: procedimenti infiniti che, dopo aver tenuto sotto scacco per anni e con accuse infamanti decine di imputati, si risolvono con sentenze assolutorie a causa di «assenza di elementi di prova concreti». Sono le motivazioni di decine di sentenze assolutorie a scardinare castelli accusatori eretti dalla Procura ma che, a parere dei giudici, non erano fondati su saldi elementi indiziari. Uno dei casi più eclatanti riguarda la vicenda di un imprenditore di Pellezzano finito sotto processo con la pesantissima accusa di violenza sessuale aggravata ai danni del figlioletto, di appena 3 anni, e della nipotina di 4, figlia della sorella. L’inchiesta è partita dalla denuncia della nonna paterna della bambina che raccolse alcune confidenze della nipotina dalle quali scattò il procedimento a carico dello zio materno. Il 50enne è stato sotto processo per 7 anni ed assolto dal collegio della seconda sezione penale (presidente Siani, a latere Cantillo e Trivelli) dopo che il pubblico ministero, Valleverdina Cassaniello, aveva chiesto per lui 8 anni di reclusione. Una vita distrutta da un’accusa infamante nata – scrivono i giudici – da un errore della nonna della bambina che avrebbe «interpretato in chiave sessuale dichiarazioni che non avevano tale valenza». Nella motivazione della sentenza, divenuta definitiva alcuni mesi fa, i giudici sottolineano le «modalità discutibili con le quali è stata gestita la fonte dichiarativa primaria per un non impeccabile approccio professionale della consulente del pm». «È risultata irrimediabilmente compromessa – si legge in un passo della sentenza – la genuinità e schiettezza del ricordo della bambina e, ancor prima, la possibilità stessa di stabilire se quanto esposto dalla minore corrisponda all’attuale patrimonio conoscitivo della medesima o sia il frutto di un più o meno consapevole percorso di rielaborazione postuma dei fatti portato avanti per salvaguardare il proprio equilibrio personale ed i rapporti affettivi con entrambi i genitori ed i loro rispettivi nuclei familiari». «La bambina esaminata in dibattimento – scrivono i giudici – non ha reso alcuna dichiarazione accusatoria nei confronti dello zio ascrivendo la genesi delle proprie rivelazioni, fatte sei anni prima alla nonna, alla volontà di effettuare uno scherzo; scherzo, però, che era stato frainteso ed aveva portato a conseguenze che ella non avrebbe voluto si verificassero». Fonte: Il Mattino

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