LA CALUNNIA È UN VENTICELLO CHE SOFFIA NELLA RETE!
Approfondiamo, con l’avvocato Simone Labonia, i risvolti legali della notizia in merito alla condanna, addirittura di un Sindaco della nostra provincia, per aver diffamato “in internet“, un suo avversario politico!
La diffamazione, definita come l’offesa all’onore o alla reputazione di una persona attraverso mezzi idonei a raggiungere un ampio pubblico, è regolata in Italia dall’articolo 595 del Codice Penale. Negli ultimi anni, con la diffusione dei social network, è emersa la necessità di disciplinare anche la diffamazione attraverso tale mezzo, ampliando il concetto tradizionale di “diffamazione a mezzo stampa“. Questo fenomeno è stato al centro di varie sentenze della Cassazione, che ha chiarito la portata della normativa esistente e le differenze tra i due contesti.
La diffamazione a mezzo social riguarda le offese pubblicate su piattaforme come Facebook, Twitter, Instagram, e simili. Secondo la giurisprudenza, i social network sono considerati “mezzi di pubblicità” e, di conseguenza, le offese veicolate su queste piattaforme integrano l’aggravante prevista dalla normativa, che aumenta la pena rispetto alla diffamazione semplice. L’uso dei social network, infatti, amplifica il potenziale offensivo, poiché consente di raggiungere un pubblico vasto e di generare reazioni e commenti che possono ulteriormente diffondere il contenuto diffamatorio.
La Cassazione ha più volte sottolineato che l’elemento chiave per configurare tale reato è la “potenzialità diffusiva” del messaggio che, seppur visibile a una cerchia limitata di amici, può essere considerato diffamatorio, a causa della possibilità di condivisione e della natura pubblica del mezzo. Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che l’uso di termini denigratori su queste piattaforme, anche senza fare esplicito riferimento alla vittima, può comunque configurare un reato di diffamazione se il contesto permette di identificarla.
La diffamazione a mezzo stampa si realizza invece quando l’offesa viene veicolata attraverso articoli di giornale, trasmissioni radio-televisive o altri mezzi tradizionali di informazione. Anche in questo caso è prevista l’aggravante della “pubblicità“, in quanto i mass media raggiungono un pubblico ampio. La differenza principale rispetto ai social è il ruolo di maggiore responsabilità che ricade su direttori e redattori. Il direttore della testata, ad esempio, è considerato responsabile per eventuali contenuti diffamatori pubblicati, anche se non li ha personalmente redatti, a meno che non provi di avere adottato tutte le misure necessarie per evitare il problema.
La Cassazione, con numerose sentenze recenti, ha contribuito a definire i confini ed ha ribadito che i social network non sono “zone franche” e che le offese su queste piattaforme sono punibili come quelle “pubblicate sui giornali“. La giurisprudenza ha quindi chiarito che le offese online, anche se più informali, devono essere trattate con la stessa serietà delle offese a mezzo stampa, poiché entrambe violano il diritto alla reputazione della vittima.