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Il 4 maggio 1949 la storia del Grande Torino diventa leggenda Attualità 

Il 4 maggio 1949 la storia del Grande Torino diventa leggenda

Accadde oggi: il 4 maggio 1949 la storia del Torino diventa Leggenda dopo la sciagura di Superga. Era mercoledì,metà settimana

Il 3 maggio, giorno di Festa nazionale in Portogallo, in cui si celebra l’anniversario della scoperta del Brasile, il Torino va dunque a Lisbona per giocare contro il Benfica un’amichevole pro-calciatore per aiutare Ferreira, capitano delle Aquile.

“Non, come spesso si è scritto perché si ritirava, visto che ha giocato per altri 5-6 anni, ma perché era in difficoltà economiche e quella partita era un modo per uscire dalla crisi. Succedeva infatti spesso all’epoca che i calciatori, grazie all’aiuto e alla comprensione di alcuni amici e colleghi, riuscissero ad organizzare delle amichevoli che richiamassero una buona quantità di pubblico sugli spalti, nelle quali la società li garantiva l’intero incasso o metà incasso, come avvenne in questo caso”.

Il volo con a bordo il Torino, tecnici, dirigenti e 3 giornalisti al seguito della squadra, il Direttore di Tuttosport Renato Casalbore, Luigi Cavallero de ‘La Nuova Stampa’ Renato Tosatti, de ‘La Gazzetta del Popolo’, parte da Milano Malpensa il 1° maggio alla volta di Lisbona. A bordo si registrano alcune defezioni. Non c’è innanzi tutto il presidente Novo, convalescente dopo una brutta broncopolmonite. Non è presente Sauro Tomà, bloccato da un infortunio al ginocchio.

Non ci sono nemmeno il portiere di riserva Renato Gandolfi, che cede il suo posto al terzo portiere, Dino Ballarin, fratello di Aldo, su intercessione di quest’ultimo, Luigi Giuliano, capitano della Primavera granata che aveva già debuttato in Prima squadra facendo molto bene, e alcuni componenti della Primavera che avranno poi una discreta carriera. Fra questi Pietro Biglino e il terzino Pietro Bersia (che esordirà in Serie A dopo la Tragedia e diventerà successivamente capitano del Cagliari, ndr).

Fra i giornalisti al seguito mancano  il telecronista Nicolò Carosio, bloccato in Italia dalla cresima del figlio, e Vittorio Pozzo, che aveva rotto con Novo dopo esserne stato a lungo un fidato collaboratore e per questo fu escluso dalla comitiva. Parte regolarmente invece Valentino Mazzola, pur febbricitante, che aveva saltato il confronto Scudetto con i nerazzurri.

L’iniziativa del Benfica ha grande successo. All’Estadio Nacionál della capitale lusitana, il pomeriggio del 3 maggio, per vedere il Grande Torino accorrono infatti 40 mila spettatori. L’amichevole termina 4-3 per i portoghesi. Arbitra l’inglese Pearce e Ossola, che ha appena saputo che sua moglie è incinta di un secondo figlio, apre le marcature segnando un gran goal. Che il clima sia amichevole lo si capisce quando il Benfica in 15 minuti si porta sul 3-1: doppietta di Melao e goal di Arsenio. Prima di andare a riposo c’è tempo anche per una rete di Bongiorni, subentrato a Gabetto.

Nella ripresa arriva addirittura il poker delle Aquile con Rogerio, a segno all’85’, prima che un rigore di Menti fissi il risultato finale sul 4-3. Gli spettatori, che hanno pagato il biglietto per godersi lo spettacolo, non sono rimasti delusi, come del resto neanche Ferreira e gli stessi giocatori del Torino.

 

Mazzola e compagni sono stanchi, per questo decidono di ripartire subito per Torino la mattina seguente. L’aereo con a bordo tutta comitiva, un trimotore FIAT G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, decolla dall’aeroporto di Lisbona alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949. A comandarlo è il tenente colonnello Pierluigi Meroni, il cui nome tornerà alla ribalta 18 anni dopo con la morte del giovane talento granata quasi suo omonimo, e sarà letto anch’esso come un inquietante segno del destino.

Il velivolo atterra alle 13 all’aeroporto di Barcellona per fare rifornimento. Qui i calciatori del Torino incrociano quelli del Milan che stanno andando a Madrid per giocare a loro volta un’amichevole contro il Real Madrid. Fra questi c’è anche Carapellese, attaccante che vestirà in futuro anche la divisa granata, e racconta di aver visto i giocatori granata distrutti dalla stanchezza.

Il FIAT G.212 riparte alle 14.50, ma, anziché dirigersi a Milano Malpensa, come inizialmente programmato, fa rotta diretta per l’aeroporto di Torino-Aeritalia. Ma chi ha deciso il cambio di destinazione? Ancora oggi resta il mistero, ma si fanno diverse ipotesi.

La prima possibilità è che proprio perché particolarmente stanchi, i giocatori granata e in particolare Valentino Mazzola abbiano chiesto al comandante Meroni di arrivare direttamente a Torino. La seconda è che il cambio di rotta fosse dovuto a motivi di dogana: era probabile che la comitiva avesse fatto acquisti a Lisbona e in caso di arrivo diretto nel capoluogo piemontese avrebbe goduto di controlli più leggeri da parte dei finanzieri rispetto a Milano.

All’altezza di Savona l’aereo vira verso nord, e si prevede arrivi a destinazione nel giro di mezzora. Sta di fatto che a Torino il tempo è pessimo, con nuvole basse e fitte che ricoprono il cielo,  pioggia battente, forte vento di libeccio con raffiche e visibilità orizzontale scarsissima (40 metri).  Sicuramente non le condizioni ideali per viaggiare. La comunicazione arriva ai piloti del FIAT G.212 alle ore 16.55.

Dopo alcuni minuti di silenzio, alle 16.59 arriva la risposta dall’aereo:

“Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga”.

A Pino Torinese, a sud est di Torino, c’è una stazione radio VDF (VHF direction finder), per fornire un QDM (rotta magnetica da assumere per dirigersi in avvicinamento a una radioassistenza) su richiesta. In un’epoca in cui la radionavigazione non disponeva di strumenti tecnologicamente avanzati, normalmente si sarebbe optato per quello che in gergo aeronautico è chiamato QCO, ossia la deviazione del volo verso uno scalo più sicuro, in questo caso Malpensa o Linate. Tuttavia l’ordine da Torino non arriverà mai.

Alle 17:02 l’equipaggio chiama così per l’ultima volta la torre di Torino, per avere conferma dell’angolo di approccio alla pista, che viene confermato. Il pilota, una volta giunto sulla perpendicolare di Pino Torinese, conta dunque di virare di 290 gradi di prua per allinearsi alla pista do Torino-Aeritalia, lasciandosi sulla destra il Colle di Superga con la relativa basilica.

Ma l’aereo, anziché con la pista di atterraggio, si allinea fatalmente con la Collina di Superga:  il forte vento di libeccio avrebbe spostato di qualche grado l’angolo di approccio di I-ELCE alla pista, inoltre l’altimetro (si scoprirà nelle indagini che seguiranno l’incidente) è impazzito, bloccandosi a quota 2000 metri, mentre in realtà il velivolo si trova a soli 600 metri dal suolo.

Il pilota è indotto in errore, si vede sbucare davanti la basilica all’improvviso e con una velocità di 180 chilometri orari non può più far nulla. Non risultano del resto tentativi in extremis di riattaccata o virata. Sono le 17.03 del 4 maggio 1949 e il trimotore FIAT G.212 con a bordo il Grande Torino si schianta contro il terrapieno della Basilica di Superga, avvolta in una fitta nebbia.  Alle 17.05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE, non ricevendo alcuna risposta.

Tutto è compiuto. L’aereo si disintegra, scoppia un incendio e i corpi bruciacchiati dei 31 occupanti vengono sbalzati fuori fra il prato e alcune stanze della stessa basilica. Non ci sono sopravvissuti. Qualcuno, dopo il boato generato dall’incidente, urla: “È caduto un aereo!”. Quando le fiamme iniziano a dissolversi, il primo ad accorrere sul luogo della tragedia è il capellano di Superga Don Tancredi Ricca, che stava nella sua stanza al primo piano leggendo il suo libro di preghiere, e subito si trova di fronte uno spettacolo terribile e straziante. 

Sul posto arrivano i primi soccorritori. Fra questi anche Amilcare Rocco, muratore che abita a pochi metri dalla basilica, con altre persone. Qualcuno trova una foto per terra e vede che è quella del Torino del 1946. In quel momento si materializza il dramma che è appena accaduto: “Ma quello è il Torino!”, esclama in dialetto. Don Ricca trova le maglie granata con lu Scudetto cucito. Non ci sono più dubbi.

La notizia si diffonde rapidamente e oltrepassa i confini nazionali, facendo rapidamente il giro del Mondo. Nello schianto avevano perso la vita Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin, Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli, Valentino Mazzola, Romeo Menti, Operto, Ossola, Rigamenti e Schubert, i 18 giocatori del Grande Torino che avevano preso parte alla trasferta a Lisbona. Con loro erano morti il D.g. Agnisetta, il consigliere Civalleri, il Direttore Tecnico Egri Erbstein, l’allenatore Lievesley e il massaggiatore Cortina, i tre giornalisti al seguito, ovvero Casalbore, Cavallero e Tosatti, l’organizzatore Bonaiuti e i 4 membri dell’equipaggio, fra cui il comandante Meroni.

Centinaia di persone provano a salire sul colle. Fra i primi c’è anche Vittorio Pozzo, ex Ct. della Nazionale, cui viene chiesto l’ingrato compito di riconoscere le salme sfigurate dei suoi ragazzi, che i carabinieri stavano via via estraendo.

Accetta e dopo aver individuato le prime salme, fra cui quella di Romeo Menti, che portava sulla giacca una spilla con il simbolo della Fiorentina, sente qualcuno che gli tocca le spalle. “Your boys”,   “I tuoi ragazzi”, gli dice un gigante avvolto in un impermeabile. È John Hansen, il centravanti danese della Juventus, anche lui accorso a Superga per accertarsi con i suoi occhi di quello che era accaduto al Torino. Pozzo ha un primo mancamento.

Termina comunque il suo compito, non senza fatica, e la sera davanti ai periti nelle due camere mortuarie del cimitero, deve ripetere il riconoscimento salma per salma.

“Uno per uno, li riconobbi tutti. – annoterà nelle sue memorie – Mi occupai di tutto, fuorché dei portafogli, dopo di aver controllato il contenuto di qualcuno di essi: lasciai al commissario di polizia la ingrata e delicata bisogna. Pochi dei giocatori erano deformati nelle fattezze, parecchi avevano perduto le scarpe od addirittura ambo i piedi come tanti soldati in guerra. Il solo allenatore inglese, Lievesley era perfettamente intatto”.

Quando deve pronunciare gli ultimi 2 nomi,  l’ex C.t., che fino a quel momento aveva mantenuto una forza incredibile, stramazza però per terra. Sono Martelli e Maroso, 25 e 23 anni. Gli riconosce per eliminazione, dato che i loro corpi sono completamente straziati.

La storia si fa leggenda

In porta gioca l’inossidabile Bacigalupo, a destra c’è Aldo Ballarin, mentre a sinistra il giovane campione Virgilio Maroso, afflitto spesso da problemi di pubalgia, trova in Operto Sauro Tomà delle valide alternative. Rigamonti è il mastino difensivo del sistema, supportato dai due mediani Grezar e Martelli, che hanno nell’esperto  Castigliano e nel giovane Fadini le loro alternative. Le due mezzali, Loik Valentino Mazzola sono le due colonne portanti. Davanti il tridente d’attacco vede il trentatreenne Gabetto centravanti, supportato dai due esterni offensivi Romeo Menti Franco Ossola.

 

 

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