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Il 10 febbraio 2004 istituita in Italia la Giornata del Ricordo per commemorare le vittime del massacro delle foibe Attualità 

Il 10 febbraio 2004 istituita in Italia la Giornata del Ricordo per commemorare le vittime del massacro delle foibe

Accadde oggi: dal 2004 il 10 febbraio è il Giorno del ricordo: ricorrenza al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”. Con la legge 92 del 30 marzo 2004 la Repubblica Italiana ha istituito il Giorno del ricordo di uno degli avvenimenti più dolorosi e (ancora oggi) divisivi della storia italiana. Un capitolo buio che causò lutti, sofferenza e spargimento di sangue innocente, sul quale per anni è calato il silenzio, come ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Mentre sul territorio italiano la conclusione del conflitto contro i nazifascisti sanciva la fine dell’oppressione e il graduale ritorno alla libertà e alla democrazia, un destino di ulteriore sofferenza attendeva gli Italiani nelle zone occupate dalle truppe jugoslave. Un destino comune a molti popoli dell’Est Europeo quello di passare, direttamente, dalla oppressione nazista a quella comunista. E di sperimentare, sulla propria vita, tutto il repertorio disumanizzante dei grandi totalitarismi del Novecento, diversi nell’ideologia, ma così simili nei metodi di persecuzione, controllo, repressione, eliminazione dei dissidenti. Una pagina buia della storia del nostro Paese, che ha coinvolto migliaia di italiani (e circa 250mila profughi giuliani, dalmati e fiumani che furono costretti a lasciare le loro case). La storiografia attuale comprende una forbice stimata tra i 5 e 12mila morti. Un orrendo episodio di pulizia etnica – a lungo rimosso -, qualunque ne sia la portata “numerica”. Perché è stata scelta questa data? Il 10 febbraio 1947 fu firmato il trattato di pace che assegnava l’Istria e buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia. Un trattato duro che attribuiva all’Italia la responsabilità di aver intrapreso una guerra di aggressione, essendo la principale alleata della Germania nazista, e riconosceva anche la cobelligeranza seguita all’armistizio dell’8 settembre 1943. La violenza fu messa in atto dai partigiani jugoslavi, che si sentivano legittimati ad annettere al futuro stato jugoslavo la parte rivendicata del Venezia Giulia e del Friuli e a considerare la popolazione italiana come una “classe dominante” contro cui lottare. Al massacro delle foibe seguì l’esodo giuliano-dalmata, ovvero la diaspora di cittadini di lingua italiana dai territori di confine. Durante la Seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra furono il palcoscenico di sommarie esecuzioni quando i partigiani comunisti del maresciallo Tito vi gettarono migliaia di persone colpevoli di essere italiane, fasciste o contrarie al regime comunista. Altre migliaia di persone, che sino ad allora avevano abitato (e considerato come loro terra) l’Istria, Fiume e la Dalmazia, furono obbligate a lasciare quei territori o deportate nei campi sloveni e croati.

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