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Emergenza covid 19, dal 3 giugno ci si potrà spostare in tutta Italia Attualità Primo piano 

Emergenza covid 19, dal 3 giugno ci si potrà spostare in tutta Italia

Libertà di movimento senza limitazioni dal 18 maggio dentro la propria regione di residenza e dal 3 giugno in tutta Italia, salvo limitazioni che dovessero essere decise per aree limitati a fronte di un aumento del rischio di contagio. E’ la bozza di decreto visionata e resa pubblica da La Stampa che stabilisce i termini della libertà di movimento dei cittadini  e la fine di fatto del lockdown iniziato nel marzo scorso.

«A decorrere dal 3 giugno, gli spostamenti possono essere limitati solo con provvedimenti motivati (…) secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree», recita l’articolo 4 della bozza.

Chi sgarrerà subirà pesanti sanzioni fino alla chiusura da 5 a 30 giorni dell’attività o dell’esercizio. È quanto prevede la bozza di decreto legge sulla fase due che sarà varata stamane dal consiglio dei ministri.

Da lunedì però  cambia lo schema: le regioni dispongono e il governo sta a guardare che non combinino guai, nel caso di nuovi focolai interverrà con chiusure e zone rosse. È la fase due che entra nel vivo, quella più pericolosa. Il consiglio dei ministri alle dodici varerà il decreto legge che prevede la riapertura in tutta Italia di attività economiche e produttive, stabilendo le sanzioni per le imprese che non rispetteranno le regole di sicurezza. Da lunedì sono consentiti liberi spostamenti dentro la regione e non tra regioni. Nel decreto – spiegano i dirigenti del governo che hanno la bozza del decreto sul tavolo – non sono precisate tutte le attività e le regole nel dettaglio, a questo ci penserà il Dpcm che verrà varato in giornata da Palazzo Chigi. E che conterrà le linee guida per le diverse regioni, che da lunedì acquisiscono una quasi totale autonomia di azione. Il varo di un decreto risponde alla richiesta di un vaglio del parlamento formalizzata dalle opposizioni, dal Pd e da Italia Viva. Ma è anche la base normativa per il dpcm, tale da poter respingere l’accusa di usare strumenti non costituzionali, così come era uno scudo per i successivi Dpcm il primo decreto legge che a inizio pandemia stabiliva che le regioni potessero solo restringere e non allargare le maglie di lockdown fissate dal governo.

Restano i vincoli per le persone in quarantena, mentre ai sindaci è lasciata la facoltà di chiudere aree pubbliche o aperte al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza di sicurezza tra le persone. Il decreto prevede inoltre il monitoraggio quotidiano, da parte delle Regioni, dell’andamento della situazione epidemiologica. In base a questo andamento, le Regioni possono introdurre misure «ampliative o restrittive» rispetto a quelle previste dal decreto del 25 marzo scorso sul lockdown.  Alle undici il premier Conte e i ministri Boccia e Speranza sentiranno i governatori. Che hanno ricevuto i  protocolli per la riapertura delle varie attività dall’Inail, tranne quello del commercio al dettaglio. Ieri sera sono poi finalmente arrivati tutti i dati delle regioni per il monitoraggio della salute. Ieri sera sono arrivate le linee guida delle regioni da cui deriva che tutte le regioni sono a basso rischio, compreso il Piemonte, tranne la Lombardia. Il governo da ora in poi interviene solo se c’è un incremento dei focolai, una cosa del tutto nuova è dunque la totale autonomia delle regioni.

Riapriranno negozi, ristorazione, cura della persona con norme distanziamento indicate dall’Inail. Nel Dpcm ci sarà un meccanismo che metterà neso su bianco ciò che il ministro Francesco Boccia dirà in sostanza alle regioni: se attraverso gli studi dei vostri comitati scientifici siete in grado di stabilire norme autonome rispetto alle linee guida nazionali vi assumete la responsabilità di farlo. Queste sono linee guida e se voi volete valutate di fare diversamente lo potrete fare, ma dovete tenere sotto controllo la curva epidemiologica e fornire al governo tutti i dati sulla capacità delle strutture sanitarie in termini di ricettività dei nuovi pazienti. Spetterà al ministero della Salute e al governo poi valutare se chiudere alcune zone.

 

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