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E’ TRUFFA IL COMPORTAMENTO DEL MEDICO INTRAMOENIA CHE SOTTACE UN’ATTIVITÀ PRIVATA L'Avvocato risponde 

E’ TRUFFA IL COMPORTAMENTO DEL MEDICO INTRAMOENIA CHE SOTTACE UN’ATTIVITÀ PRIVATA

L’attività dei liberi professionisti, ben sappiamo, e’ sempre nell’occhio del ciclone, in riferimento alle ipotesi di elusione di tasse e prestazioni dovute.
In quante occasioni, uscendo da uno studio professionale e pagando alla segretaria una corposa parcella, ci è stato chiesto “vuole la fattura”?
Come se questa pratica non debba rispondere ad un obbligo imprescindibile, ma venga sottoposta esclusivamente ad una aleatoria volontà del singolo.
I media ci tengono costantemente informati sulle varie modalità poste in essere da chi vuole eludere il fisco: oggi scopriamo che, fra tante, esiste anche il “silenzio”, come sancito da una sentenza della Cassazione Penale, la n. 46209/2023.
In detta pronunzia, la Suprema Corte ha ribadito che, in alcuni casi, il suddetto silenzio può configurare la fattispecie di “raggiro”, ai sensi dell’art.640 c.p.

Commentiamo la vicenda insieme all’avvocato Simone Labonia, rendendola nostra e di quanti, a volte, sono usciti perplessi da una visita medica a pagamento.

Nel caso preso in esame, infatti, il “silente professionista” altri non era se non un medico ospedaliero, con contratto intramoenia, che prevede uno stipendio maggiorato, nel caso che non venga svolta attività ambulatoriale privata.
Il silenzio, quindi, sullo svolgimento di detta attività professionale, produceva un illecito guadagno per il professionista stesso, in danno della struttura pubblica, costretta ad un esborso maggiore del dovuto.

Ma, il semplice silenzio, può avere una reale valenza ingannatoria?

La giurisprudenza risponde affermativamente, in maniera quasi costante: in tema di “truffa contrattuale”, anche il malizioso sottacere alcune circostanze, integra l’elemento oggettivo ai fini della configurabilità del reato.
È un vero e proprio raggiro, che influenza la volontà ed i comportamenti di un soggetto soccombente.

Un’altra visione dottrinale, seppur minoritaria, escluderebbe che detto comportamento possa essere considerato un “artificio doloso”, sulla base di due specifiche ragioni: che le modalità previste dalla legge per configurare la truffa prevedono un comportamento attivo, nel porre in atto artifici o raggiri, e che non esiste alcun obbligo giuridico di informare la controparte contrattuale, se non a tutela del patrimonio altrui.
Il dubbio principale, dunque, sorge dalla difficoltà di tracciare una linea netta di confine tra le fattispecie di “truffa contrattuale” ed “inadempimento civilistico”.

In conclusione degli approfondimenti giuridici, però, la Cassazione afferma che il silenzio doloso diventa un comportamento di valore concludente, poiché induce volutamente in errore una controparte contrattuale, in disprezzo della buona fede e della correttezza professionale.

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