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Come il turismo è diventato il settore del momento nel tech Economia Turismo ed Eventi 

Come il turismo è diventato il settore del momento nel tech

Il mondo dell’e-commerce è dominato da Amazon, quello da social network da Facebook (e le sue controllate), quello dello streaming da Netflix e quello del ride-sharing da Uber. Insomma, l’universo digitale – che fino a pochi anni era un territorio praticamente vergine – inizia a essere saturo. Ma siccome nella Silicon Valley chi si ferma è perduto, i venture capitalist sono costantemente alla ricerca di nuovi settori da finanziare; nella speranza, un giorno, di replicare i guadagni stratosferici di Peter Thiel, capace di trasformare i 500mila dollari investiti in Facebook nel 2004 in oltre un miliardo di dollari di guadagni.

Negli ultimi anni, la parola magica per chi sperava di trasformare in oro tutto ciò in cui ha investito ha avuto soprattutto un nome: blockchain; la tecnologia del registro distribuito alla base dei bitcoin. Dai 700 milioni di dollari investiti nel 2016, si è passati al miliardo del 2017, per poi raggiungere la cifra stellare di 3,9 miliardi nell’anno in corso.

Ma c’è un problema: oltre alla crisi delle criptovalute – il cui mercato non accenna a dare segni di ripresa – è la stessa blockchain a essere circondata da uno scetticismo sempre maggiore e a correre il rischio di non mantenere gran parte delle sue mirabolanti promesse (tra cui la cryptointernet).

Forse non è un caso che, stando ai dati riportati da TechCrunch, gli investitori stiano puntando sempre di più su un settore tradizionale, ma che inaspettatamente può offrire ritorni più sicuri delle mirabolanti avanguardie tecnologiche: le startup dedicate ai viaggi e al turismo. C’è vita oltre a Airbnb, insomma: per quanto il colosso dell’affitto a breve termine abbia raccolto oltre 3 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni (e possa oggi contare su una valutazione di mercato di 38 miliardi), una miriade di altre startup si sta gradualmente facendo largo, attirando l’attenzione dei Vc che hanno riversato nelle loro casse circa un miliardo di dollari dal 2013 a oggi.

Cifre ben lontane da quelle del mondo blockchain, ma che potrebbero essere solo l’inizio della seconda ondata delle società digitali del turismo. “Sta avvenendo qualcosa di importante nella nostra industria; qualcosa che forse è più grande di noi”, ha raccontato proprio a TechCrunch Ariel Cohen, fondatore della startup TripActions; app che sfrutta gli algoritmi di intelligenza artificiale per ottimizzare l’organizzazione dei viaggi d’affariin tutti i loro aspetti.

La piattaforma di Cohen, che ha appena raccolto 154 milioni di dollari nel suo ultimo round di finanziamenti, è l’ultima entrata nel club degli unicorni(startup con una valutazione di almeno un miliardo di dollari); in compagnia di una società come Klook, che permette di prenotare attrazioni turistiche con forti sconti. È proprio il panorama variegato – in un mondo, come quello digitale, che tende naturalmente alla concentrazione – a dimostrare come il boom di questo settore sia appena all’inizio: una startup tutto sommato tradizionale come Away (che produce valigie hi-tech) viene oggi valutata 400 milioni di dollari. TourRadar, che organizza viaggi di gruppo online, ha invece recentemente ottenuto finanziamenti per 50 milioni di dollari.

Il mercato online dei viaggi, di cui Airbnb presidia solo un aspetto ben preciso e se vogliamo limitato, è insomma ancora contendibile; spingendo a investire in startup che, nel futuro, potrebbero dominare un settore destinato a raggiungere un giro d’affari da 817 miliardi entro il 2020. In tutto questo, che fine hanno fatto i colossi digitali del turismo fondati nel bel mezzo della bolla delle dotcom? Ovviamente, non sono rimasti a guardare: Expedia, per esempio, si è data allo shopping acquistando una piattaforma fotografica dedicata al turismo, Trover, e soprattutto HomeAway, un concorrente di Airbnb per il quale ha speso 3,9 miliardi di dollari già nel 2015.
Siamo di fronte al nuovo fenomeno di internet? Forse sì, ma un po’ di nubi si stanno già addensando all’orizzonte. Prima di tutto, le piattaforme turistiche sono particolarmente costose (che è la ragione per cui Airbnb, fino a oggi, ha ottenuto finanziamenti per 4,4 miliardi di dollari); inoltre, il mercato dei viaggi è strettamente legato alla situazione economica. Se il clima dovesse cambiare nel breve periodo – magari a causa della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti – è facile immaginare che proprio un bene di lusso come il turismo sarebbe il primo a risentirne; lasciando gli investitori con un pugno di mosche.
Ma c’è una considerazione più generale da fare. Nonostante la bolla delle dotcom di ormai vent’anni fa, e nonostante la (probabile) bolla della blockchain oggi, la Silicon Valley sembra continuare a muoversi sull’onda dell’hype. Una situazione che riguarda anche il settore delle auto autonome: solo nel 2018, le startup attive in questo settore hanno raccolto3,5 miliardi di dollari. Una cifra di tutto rispetto, che dovrà però fare i conti con i tempi – più lunghi del previsto – necessari affinché questa tecnologia entri davvero in commercio. L’entusiasmo dei venture capitalist si sposta insomma di settore in settore in maniera spesso poco razionale; con il rischio di trasformare in una bolla finanziaria tutto ciò che tocca.

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