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Accadde oggi: il 17 giugno 1970 la partita Mundial che diventa leggenda Attualità 

Accadde oggi: il 17 giugno 1970 la partita Mundial che diventa leggenda

Accadde oggi: mezzo secolo fa, esattamente il 17 giugno del 1970. Allo stadio Atzeca di Città del Messico va in scena la semifinale della coppa Rimet (ultima volta che verrà consegnata nelle mani dei futuri campioni del Mondo, il Brasile): el partido del siglo, come sta scritto sulla lapide dello stadio della capitale messicana, furono in realtà due al prezzo di uno. Il primo cominciò alla nostra mezzanotte e finì all’1 e 47, con il pareggio di Schnellinger, il tedesco biondo terzino del Milan, dopo il gol iniziale di Boninsegna. Appassionante come non può non essere una semifinale mondiale, ma niente di più. Il secondo si chiuse qualcosina prima delle 2 e mezza e appartiene per sempre alla leggenda del football. Ce ne sono state di partite emozionanti (e ce ne saranno). Dalle giornate di Barcellona (1982) a quelle di Berlino (2006) ma quella giocata quattro giorni prima dell’arrivo dell’estate di 50 anbni fa resterà certamente la gara del secolo anche se in finale il Brasile dei campionissimi Carlos Alberto, Ze Maria, Jairzinho, Tostao, Pelè, Rivelino etc  si aggiudicò il terzo titolo mundial con un secco 4-1. Il ricordo però va a quella notte del 17 giugno e a quell’ora ci buttammo tutti quanti fuori di casa, in città come nei borghi. Per respirare, prima ancora che per festeggiare, per uscire da quell’interminabile apnea che reclamava aria fresca nei polmoni. Clacson a distesa, cortei, bagni nelle fontane. Un rito che sino a lì aveva riguardato la Milano rossonera e nerazzurra dei trionfali anni ’60: e quella notte tracimò per ogni dove, perché dopo vent’anni di disastri mondiali culminati nella Corea del ’66 l’Italia era finalmente tornata lassù. Il valore aggiunto, mano a mano che il respiro tornava regolare e consentiva di riflettere, era che avevamo battuto proprio la Germania e proprio sul suo terreno, della forza fisica, della resistenza, dell’obiettivo ad ogni costo. E se in certe parti d’Italia, a cominciare dalle Romagne, il gemellaggio turistico aveva ormai cancellato il ricordo del tedesco invasore, in molte altre, a venticinque anni dal ’45, non era ancora così. Durante il lungo assedio del secondo tempo alla porta di Albertosi ogni affondo di Beckenbauer sia pur col braccio al collo, ogni incursione di Muller e Seeler nell’area azzurra evocavano nei nostri vecchi piazzati davanti alla tv incubi mai dimenticati, quasi fossero le perlustrazioni e i rastrellamenti di un tempo. Oggi che siamo, per nostra fortuna, nella galassia di donna Merkel questa chiave di lettura può far sorridere: ma di quarti di secolo ne son passati due, non uno.  Il pareggio di Carletto Schnellinger detto Volkswagen, in pieno recupero e magari oltre. Lui che nel Milan la metà campo non la passava mai per il divieto tassativo del paron Rocco, e quella sera si trovò davanti ad Albertosi e lo infilò in spaccata perché, raccontò poi, gli spogliatoi erano da quella parte e tanto valeva guadagnare tempo. L’infortunio a Rosato e l’ingresso di Poletti che apre i supplementari con un passaggio di petto ad Albertosi ma sbaglia l’impatto, s’infila Muller e la palla rotola dentro nonostante la gattonata del portiere. La voce di Martellini che quasi singhiozza, tutto facile per la Germania adesso, ed è esattamente quello che tutti pensarono. E invece no, perché era dal gol del Bobo che l’Italia aveva tutto da perdere e di colpo, sotto 1-2, da perdere non ha più niente. Burgnich. Tarcisio la roccia friulana, che la metà campo la passava quanto Schnellinger, cioè mai, e invece va a piazzarsi in area su una punizione di Rivera e ribatte in porta la respinta maldestra di Held. E finalmente Gigirriva, un Mondiale giocato con le mani sui fianchi perché fiaccato dallo scudetto col Cagliari, dall’altura, dai problemi sentimentali. Il suo doppio dribbling con giravolta esterna, il sinistro che al livello del mare avrebbe spaccato la porta ma per quanto esile è angolato abbastanza per non dare margini a Sepp Maier, il clown. Tre a due, già così sarebbe Piedigrotta. Invece c’è quel corner, stacca Seeler a far sponda e Muller la pizzica di un niente. Sul palo c’è Rivera, che non c’era mai stato in vita sua e se la fa passare a un centimetro dall’anca. Tre a tre, dieci minuti al sorteggio, con i rigori di là da venire. E per fortuna nessun demente aveva ancora pensato al golden gol: che avrebbe mandato a casa noi sul pasticcio di Poletti, ma soprattutto vietato al resto del mondo lo spettacolo irripetibile che ne è seguito. Tocca a Rivera. E magari fosse toccato a lui anche in finale col Brasile, altro che quei 6 minuti a cose fatte. Il Pallone d’oro in carica, smaltiti gli insulti di Albertosi, sente che in Italia così non può tornare. Parte Boninsegna sulla sinistra, il golden boy segue l’azione e si fa trovare al posto giusto nel momento giusto: il suo destro d’incontro, ritardato quel tanto che basta a coricare il grande Sepp Maier, vale un trattato sull’istinto del fuoriclasse. Giù il sipario. E mentre in Italia si fa l’alba, Domenghini festeggia buttando in piscina l’allora osservatore Bearzot che non sa nuotare e a momenti ci resta. Notti magiche. Davvero.

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