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Accadde oggi: il 15 gennaio 1993 la mafia viene decapitata con l’arresto di Riina Attualità 

Accadde oggi: il 15 gennaio 1993 la mafia viene decapitata con l’arresto di Riina

Accadde oggi: il 15 gennaio 199 arrestato il capo della mafia Totò Riina. Dopo 24 anni, è finita la latitanza di “Totò u curtu” (è alto un metro e 59), il boss dei boss, il capo della mafia. L’hanno preso i carabinieri – una squadra comandata dal capitano Ultimo – è accusato di 182 omicidi e delle stragi con autobombe dell’anno prima. Tempo dopo qualcuno accuserà qualche altro boss mafioso di aver venduto il capo dei capi, ma al momento c’è solo da godersi il successo. Si brinda nelle questure di tutta Italia, anche se il colpo l’hanno fatto i cugini dell’Arma e tra agenti e militari, si sa, la concorrenza è accesa. 

La cattura di Totò Riina lascia tuttavia anche un po’ di amaro in bocca, come sottolinea Giuseppe Ayala, già magistrato del pool antimafia, in un editoriale pubblicato da Repubblica. «Non riusciamo, però, a cancellare dal nostro animo», scrive Ayala, «pur nella brillantezza del momento, una sincera e profonda amarezza. Ieri si è finalmente conclusa una latitanza che non esitiamo a definire mortificante, se non offensiva, per il comune sentire della gente. Le modalità stesse dell’arresto confermano quello che da più fonti era costantemente emerso, e cioè che, per quanto incredibile possa sembrare, a Riina è stato consentito, per oltre un ventennio, di muoversi sostanzialmente indisturbato nell’ambito del proprio centro di interessi, la città di Palermo. Nel corso di tale lunghissimo periodo nessun ostacolo è stato con successo posto alla sua incontenibile scalata al potere egemonico di Cosa Nostra».

I giornali pubblicano la foto del boss appena catturato, la prima immagine aggiornata del capo mafioso, quella precedente era una vecchia immagine in bianco e nero che ritraeva un giovane uomo. Al momento della cattura il boss dei boss ha 63 anni (è nato nel novembre 1930). Anche le sequenze della cattura finiscono nei giornali.

«È accaduto tutto alle 8.30 del 15 gennaio di 27 anni fa nell’area della circonvallazione di Palermo», ricostruisce Felice Cavallaro sul Corriere della sera, «dove circa trentacinque uomini (guidati da un capitano di 30 anni che a Milano aveva indagato col giudice Ilda Boccassini sulla vicenda Duomo connection) erano disposti a raggiera in modo da proteggere dodici di loro lanciati nella cattura del numero uno di Cosa Nostra. La Citroen ZX di Totò Riina aveva lasciato la larga carreggiata di viale Leonardo da Vinci per abbordare la rotonda del Motel Agip e proseguire poi lungo la circonvallazione in direzione Catania ma, a metà del giro, di fronte ai benzinai del vicino distributore e sotto un cartellone pubblicitario dell’Alfa Romeo, l’autista s’è visto stringere da due auto che l’hanno costretto a frenare. Per un istante poteva anche sembrare un mezzo incidente provocato da una manovra imprudente. Ma solo per un istante perché quegli uomini alti e massicci schizzati fuori dalle due auto con le pistole in pugno mentre un paio di Alfette di servizio piombavano davanti alla Citroen toglievano ogni dubbio anche a questo Riina grasso e tarchiato, pronto a tentare l’impossibile. “State sbagliando persona”. “E lei ci segua lo stesso in caserma”». In effetti altre volte era riuscito a sgusciare attraverso i posti di blocco mostrando documenti d’identità falsi. Un po’ diversa la conclusione che viene riportata dalla Stampa: «Bravi, complimenti», avrebbe detto il boss agli uomini che lo stavano catturando.

Anche questa volta non intende dare nell’occhio: niente auto blindata, niente scorta, ma questa volta i carabinieri del colonnello Mario Mori sanno chi sta loro di fronte (incidentalmente, il 15 gennaio 1993 è il primo giorno a Palermo del nuovo procuratore antimafia, Giancarlo Caselli. Un bel regalo quello che gli fa l’Arma). Ha in tasca 500mila lire, qualche spicciolo, una scatola di pasticche per il mal di gola, nel portafoglio la foto della moglie Ninetta Bagarella. L’arresto, si saprà in seguito, è favorito dalle dichiarazioni del suo ex autista, Baldassarre Di Maggio, nel frattempo pentito. Ma c’è anche chi sostiene che sarebbe stato “venduto” da quella parte della mafia che non condivideva la sua linea dura, i suoi omicidi, i suoi attentati che attiravano sempre più l’attenzione su Cosa Nostra. Qualcuno avrebbe preferito mantenere un profilo più basso per condurre con maggior agio gli affari illeciti. «Non mi sento di escludere che a questo risultato possano avere in qualche misura contribuito i dissapori e i contrasti che sembra fossero affiorati attorno alla persona e al ruolo di Riina, che aveva instaurato all’interno di Cosa Nostra, assieme a Nitto Santapaola e a pochi altri fedelissimi, una vera e propria sanguinaria dittatura», scrive sulla Stampa Antonino Caponnetto, alla guida del pool antimafia nei primi anni Ottanta. Riina muore a Parma nel novembre del 2017 portandosi dietro numerosissimi segreti di cosa Nostra.

 

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