POSSO CONTROLLARE LE CHAT DEI MIEI FAMILIARI?
Chiariamo il problema con l’aiuto dell’avvocato Simone Labonia.
La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione ha tracciato una linea rossa invalicabile in tema di privacy e comunicazioni digitali, estendendo al massimo grado la tutela garantita dalla Costituzione.
In particolare ha sancito che le chat, anche di WhatsApp, salvate nei dispositivi mobili, godono della medesima protezione prevista per la corrispondenza tradizionale.
Di conseguenza, ogni accesso, persino con il consenso formale o implicito dell’interessato, richiede un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria.
Questa “clausola di legalità rafforzata” implica che un familiare, genitore, figlio, partner o convivente, che accede alle chat private di un altro con sintomi di abuso, può incorrere in due reati penali distinti:
accesso abusivo a sistema informatico, ex art. 615-ter c.p., quando si accede a un dispositivo non propriamente autorizzato in quel momento, anche conoscendo il codice di sblocco:
violazione della corrispondenza, ex artt. 616 e 615-bis c.p., qualora si estraggano, fotografino o diffondano messaggi privati, trattati come comunicazioni riservate.
Addirittura la Cassazione ha confermato la condanna di un uomo che aveva consultato le chat WhatsApp dell’ex moglie, pur avendo ricevuto il PIN proprio dalla stessa, per utilizzare le conversazioni in un processo civile.
Non gli ha giovato la scusa della “tutela del figlio”, né il dispositivo lasciato incustodito: i giudici hanno ritenuto la condotta penalmente rilevante, configurandone entrambe le fattispecie.
Il fatto di conoscere anticipatamente PIN o password non equivale a “nuovo consenso” all’accesso successivo, se questo avviene contro la volontà del titolare.
Anche se l’accesso è “spontaneo” e non mediato da sistemi informatici protetti, resta lesiva del diritto alla riservatezza (art. 15 Cost.) e richiede l’intervento dell’autorità giudiziaria.
Se un genitore legge le chat del figlio minorenne, o una figlia quelle del padre convivente, senza provvedimento, rischia una denuncia per accesso abusivo e violazione di corrispondenza.
Diversamente, azioni “passive” come controllare profili social pubblici o seguire sui social non costituiscono illecito – Cass. n. 2736/2025 – purché non derivino in molestie attive.
In sintesi, lo “sbirciare” chat private persino di familiari, senza formale autorizzazione, è una pratica oggi chiaramente penalizzata.
I dispositivi digitali non sono spazi aperti, ma scrigni di comunicazioni private, protette in via esclusiva e la privacy non conosce zone franche, neppure nella cerchia familiare.