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Storie di Remo, i gioielli del Duce Attualità 

Storie di Remo, i gioielli del Duce

 

I PUNTATA

Questo nuovo racconto è ,come tutti quelli che appartengono alle Storie di Remo inedito ;riguarda alcuni fatti accaduti a Dongo durante il periodo che culminerà con il 27 aprile del 45,giorno in cui intorno alle cinque del pomeriggio Mussolini e Claretta Petacci vennero catturati dai partigiani.
L’operazione dell’arresto del dittatore fu eseguita da uomini del battaglione Dongo ,comandato da Sandro Pertini ed esattamente dalla squadra di Urbano Lazzari.Le direttive vennero impartite direttamente da Pedro, comandante della Brigata Garibaldi “Luigi Clerici”
Una soffiata proveniente da un partigiano infiltrato nelle “Bande Nere” ,segnalo’che una colonna di automezzi tedeschi diretti verso la Svizzera ,sarebbe transitata sulla statale ,alle pendici del monte Croce .
Mussolini viaggiava su una BMW325 ,insieme ad ufficiali nazisti ,mentre Claretta era in un’altra auto che seguiva;
si trovava seduta accanto ad un ufficiale tedesco,sul sedile posteriore di un’ Alfa Romeo 6C .
I due fuggiaschi avevano con loro marenghi e sterline d’oro ,oltre a gioielli e banconote in dollari e valuta svizzera.
La storia dice che alcuni di questi oggetti non furono mai ritrovati ,perché spariti tra il 27 aprile ed il primo maggio del 45 durante il sequestro dei bagagli del Duce ed il successivo trasporto e stazionamento di questo materiale al comune di Dongo.
Questo è quanto si rileva dai documenti delle indagini del processo aperto su questa vicenda nel 1957.Ma torniamo agli avvenimenti di questo nostro racconto; essi mi furono riferiti alla fine degli anni 70 da un nipote del personaggio
principale di questa nostra storia,una partigiana che militava nel battaglione Dongo della Brigata Clerici comandata dall’avvocato toscano Pier Luigi Bellini( nome di battaglia Pedro).
Parliamo di circa 50 anni fa ,quando io mi recavo spesso a Milano dal mio amico Sirotti ,che aveva uno Studio Filatelico in via Porta Romana.Mi capitava ogni tanto di andare anche al mercatino del Borsino, vicino piazza Duomo;ero alla ricerca di corrispondenza postale italiana per la mia collezione di lettere antiche.
Filippo era di Como e aveva il banco al mercatino, dove vendeva e scambiava oggetti militari della seconda guerra.
Diventammo amici perché ,in una delle mie sortite milanesi al Borsino ,gli portai un elmetto tedesco.
Per la verità glielo vendetti, anche abbastanza caro ,ma lui fu talmente contento che mi invito’ad andare a Como per presentarmi un suo amico che era pieno di storia postale.Fu molto gentile ,ospitandomi a casa sua per tre giorni e ,oltre a farmi fare un ottimo affare nell’acquisto della corrispondenza ,mi offriva ogni sera la cena in trattoria.
Lavorava alle acciaierie di Brescia e conduceva vita da scapolo ,pur essendo legato affettivamente ad una donna che lavorava con lui e viveva con la mamma a Brescia.
Abitava solo ,nella casa ereditata dai genitori e la sua grande passione era la collezione degli oggetti militari.
Mi confesso’che il reperto che gli avevo portato era raro.
Si trattava di un elmetto austriaco M16 utilizzato dalla Wehrmact ,molto difficile da reperirsi .
Questo cimelio ,da lui inseguito per anni ,lo aveva tanto entusiasmato da porsi nei miei confronti in una disponibilità unica.Ma il regalo più bello che mi fece in quei tre giorni, fu il racconto di questa storia che io riportai fedelmente come le altre nel diario che avevo sempre con me :
Questa vicenda diverrà oggetto del secondo episodio del mio PENTAMERONE.

Una sua zia era stata partigiana e si trovava proprio al comando di Pedro nel battaglione Garibaldi.
Il battaglione Puecher della 52 Brigata Garibaldi era appunto al comando di Pier Luigi Bellini detto Pedro.I nomi dei partigiani erano per lo più scelti dagli stessi prima dell’arruolamento ;essi cambiavano il proprio nome di battesimo per motivi di sicurezza ,anche nei confronti degli altri ; questo serviva per evitare facili identificazioni nel caso fossero finiti nelle mani dei fascisti.
Erano un centinaio di uomini accampati sul monte Croce in un grande casolare abbandonato.
In particolare si trattava del distaccamento Luigi Clerici ;erano i partigiani che dopo un mese esatto dall’inizio di questo racconto cattureranno Benito Mussolini in fuga verso la Svizzera .
Il nostro racconto si inserisce in un contesto storico di risonanza mondiale ;gli eventi narrati riguardano due partigiani di Como di nome Valeria e Bill che facevano parte proprio di questo gruppo annidato sulle pendici del monte Croce.Valeria era il nome di battaglia proprio di questa zia di Filippo,una di quelle tante donne che si arruolarono condividendo con gli uomini la difficile vita della”macchia”.
I partigiani erano cittadini comuni o ex soldati sbandati dell’esercito italiano in “rotta” che si opposero al Regime Fascista e combatterono per facilitare l’occupazione dell’esercito alleato del nostro paese.
Vivevano sui monti ed erano organizzati in brigate ,con un comandante che ,come tutti i militanti aveva cambiato il suo nome civile in un nome di battaglia.
Valeria e Bill erano due ragazzi di Como appena ventenni che si erano arruolati nella Brigata Garibaldi comandata da Pedro.
I partigiani conducevano una vita di perenne emergenza ,perché dovevano essere sempre pronti a partecipare sia a missioni di attacco che a ripiegamenti verso altri nascondigli per sfuggire ai rastrellamenti dei nazifascisti.
Dormivano vestiti su giacigli provvisori;raramente conoscevano il riposo di una notte intera su un comodo materasso.
Naturalmente le donne condividevano con gli uomini questa precarietà e ,quando il loro compagno di guerra era anche il loro uomo di vita ,riuscivano eroicamente ad essere donne e guerrigliere.
Valeria e Bill erano già fidanzati prima di arruolarsi e quando decisero di entrare a far parte della Brigata Garibaldi lo fecero anteponendo gli ideali al loro amore.Difatti alcune volte Valeria seguiva itinerari diversi da quelli di Bill ,perché le donne venivano tenute fuori dalle missioni troppo pericolose.
Quando però si ritrovavano i loro incontri riaccendevano la fiamma dell’amore ed anche dei sensi.
Dormivano con gli altri nei casolari abbandonati ,uno accanto all’altra
nello stesso giaciglio reso confortevole al massimo e nel momento delle effusioni non c’era da andare per il sottile.
Lui la teneva stretta a se’in quell’angolino scelto nel posto più lontano possibile dagli altri compagni.
C’era chi teneva accesa la lucetta da campo e parlava con il vicino , chi leggeva un libro ,oppure chi fumava una sigaretta .
E se in quel silenzio, neanche tanto sommesso ,ma sicuramente lontano dal fragore delle armi ,sfuggiva ai due innamorati qualche gemito ,mentre facevano all’amore ,nessuno ci faceva caso.
Quei sospiri erano segnali di speranza per la vita che continuava ,non solo con il dramma della guerra ma anche con le sue cose belle ,come la passione dei due fidanzati partigiani che vivevano una notte d’amore in un accampamento militare .
Io non ho conosciuto Valeria né visto mai una sua foto ma la fitta rete di ricerche del mio caro amico Federico,collezionista di reperti della seconda guerra (che voglio pubblicamente ringraziare),mi ha portato a questa foto che vedrete all’inizio di ogni puntata.
Ritrae una giovane partigiana che corrisponde molto alla descrizione che Filippo mi fece di sua zia.
Sfa fumando una sigaretta e tiene in spalla un fucile mitragliatore STEN di fabbricazione inglese,che essendo molto leggero era preferito dalle donne partigiane.
Sara’proprio quest’arma l’argomento iniziale della prossima puntata ,perché un ricognitore inglese paracaduterà tre grossi involucri contenenti un centinaio di questi fucili sulle pendici del monte Croce ,a Dongo, in una tiepida notte della primavera del 1945.

Camily Bosch

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