Salerno, Pucciarelli: De Luca e la sindrome di Hubris
Vincenzo De Luca, oggi ex Governatore della Campania, rimane uno dei personaggi più polarizzanti della scena politica italiana, un uomo che ha costruito il proprio potere attraverso un linguaggio muscolare e un’autorappresentazione quasi mitologica, spesso oltre i confini del confronto democratico. Il suo stile, fatto di insulti, monologhi e delegittimazioni sistematiche degli avversari ma anche degli alleati, mostra in modo evidente i tratti di quella che potremmo definire una vera e propria sindrome di hubris: la convinzione di essere l’unico depositario della verità, l’unico capace di governare, l’unico in grado di mettere ordine in un territorio complesso. Nel corso degli anni alla guida della Regione, De Luca ha alternato rivendicazioni di successi – come l’uscita dal commissariamento della sanità, l’annuncio di percentuali altissime di prestazioni erogate nei tempi previsti e l’avvio di sistemi digitali come “Sinfonia” – a scontri durissimi con la stampa e con gli organi di controllo, bollando come “imbecillità”, “bestialità”, “falsità offensive” ogni critica giornalistica, comprese quelle che mettevano in luce dati ben meno lusinghieri sulle liste d’attesa, sulla mobilità sanitaria passiva e sulla gestione dei fondi pubblici. Anche quando Report o altre testate hanno evidenziato gravi incongruenze tra i dati ufficiali e la realtà vissuta dai cittadini, ovvero che solo il 27 % delle visite urgenti sarebbe eseguito nei tempi attesi contro una media nazionale molto più alta, con un uso anomalo delle priorità che fa apparire i dati più virtuosi di quanto non siano nella realtà quotidiana dei pazienti campani, o quando emerge che la Campania spende centinaia di milioni all’anno per curare i suoi cittadini fuori regione, segnalando le inefficienze e le fragilità del sistema locale, la reazione dell’ex Governatore è stata sempre la stessa: scontro frontale, minacce di querele, vittimismo politico e autocelebrazione. Oggi, mentre si prepara a candidarsi a sindaco di Salerno, De Luca ripropone lo stesso schema retorico, dichiarando apertamente che soltanto lui sarebbe in grado di governare la città, come se la competenza amministrativa fosse un dono divino e non una responsabilità condivisa. Nell’affermare ciò, mortifica l’operato dell’attuale amministrazione comunale, che negli anni passati è stata percepita come totalmente allineata alle sue direttive, quasi un prolungamento operativo del suo potere regionale e personale. La narrazione secondo cui Salerno senza di lui sarebbe allo sbando, nonostante la città abbia continuato a funzionare seguendo le linee guida da lui stesso imposte, è un esempio perfetto della sua hubris: il potere percepito come forma di infallibilità, la gestione della cosa pubblica come palcoscenico personale, la città come brand identitario anziché come comunità autonoma. Anche oggi, da ex Governatore, De Luca continua a costruire un racconto in cui gli ostacoli sono sempre colpa degli altri, le mancanze sono invenzioni dei nemici politici, e ogni critica è una congiura. In questa dinamica, che riduce a caricatura il confronto democratico, la sua figura appare più legata alla conservazione del proprio ruolo che alla realizzazione di un progetto collettivo: l’uomo che si propone come salvatore indispensabile è lo stesso che per anni ha accusato chiunque lo contestasse di essere un incompetente, un cialtrone o un sabotatore. Ma allo stesso tempo anche pronto a smentire se stesso tanto da dichiarare che «nel Pd per fare carriera bisogna essere imbecilli», ma allo stesso tempo fa candidare il proprio figlio Piero, alla carica di segretario regionale. L’hubris, che nella tradizione classica rappresenta l’arroganza di chi si crede superiore alle regole e alla comunità, trova in De Luca una declinazione politica contemporanea: un leader che ha costruito il proprio potere su un’autorità personale indiscussa e che oggi, invece di favorire il ricambio, pretende di riaffermarsi come unico timoniere possibile, anche in una città già da lui profondamente modellata. È in questa convinzione di indispensabilità, più ancora che nei suoi toni, che si manifesta la vera fragilità del suo approccio: la democrazia non necessita di uomini provvidenziali, ma di amministratori capaci; non di padri padroni, ma di servitori delle istituzioni. La sindrome di hubris non è solo un tratto caratteriale: è un pericolo per la politica, per il pluralismo e per la dignità delle comunità che non hanno bisogno di essere governate “da uno solo”, ma di essere ascoltate da molti.
di Riccardo Pucciarelli





