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Riciclaggio nei ristoranti, ai domiciliari imprenditore di Baronissi Cronaca Primo piano Provincia e Regione 

Riciclaggio nei ristoranti, ai domiciliari imprenditore di Baronissi

C’è anche un 47enne di Baronissi tra le novanta persone arrestate da polizia e guardia di finanza nel corso del maxi blitz contro la ’ndrangheta. All’uomo, da anni impegnato nel settore della ristorazione in Germania, viene contestato il reato di riciclaggio: in particolare quello dei proventi illeciti dell’esercizio abusivo dell’attività finanziaria di cui si è occupata un’altra inchiesta a carico del calabrese Domenico Antonio Jerinò. I fatti che hanno portato all’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti del 47enne risalgono al periodo a cavallo tra il 2014 e il 2015. Jerinò aveva deciso di investire all’estero. E qui entra in scena il 47enne di Baronissi che, benché viva da qualche anno in Germania, continua a fare la spola con Baronissi. L’obiettivo è creare una società – la Bellavita Gmgh – per acquistare un locale e avviare un’attività di ristorazione. L’operazione non andrà a buon fine, ma gli inquirenti hanno ricostruito i vari passaggi di denaro che ci sono stati tra le persone coinvolte (il reato di riciclaggio è contestato, in concorso anche al 52enne Giovanni Giorgi e a Domenico Vottari). Soldi, decine di migliaia di euro in contanti. Per il gip del Tribunale di Reggio Calabria, che ha ritenuto fondati gli elementi probatori portati dal magistrato che ha coordinato l’imponente indagine, ce n’è abbastanza per configurare il reato di riciclaggio (e, nel caso di Jerinò, di autoriciclaggio).

Ma era soprattutto la droga la fonte di guadagno principale dei clan, in particolare quelli della Locride, sgominati nel corso dell’operazione scattata ieri non solo in Italia ma anche in Germania, Belgio, Olanda e nel Sud America. Era proprio da qui – in particolare dalla Colombia – che partivano grossi quantitativi di stupefacenti con destinazione i porti di Gioia Tauro, di Napoli e di Salerno. Era qui che, poi, la droga veniva recuperata dall’organizzazione che – sostengono gli inquirenti – poteva contare su appoggi all’interno degli scali. Particolarmente consistente il quantitativo di cocaina sequestrato nell’ambito dell’inchiesta: 4 tonnellate. I magistrati hanno anche disposto il sequestro di beni e quote societarie riconducibili agli indagati. Fonte: La Città di Salerno

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