L’ODISSEA DEI TRANSGENDER NEI MEANDRI DELLA BUROCRAZIA!
Insieme all’avvocato Simone Labonia, cerchiamo di fare chiarezza sulla normativa che riguarda un problema sempre più diffuso in ambito di documenti di riconoscimento.
Può uno Stato subordinare la rettifica dei dati personali di una persona transgender alla prova di un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale?
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che uno Stato membro non può subordinare tale rettifica dei dati personali, relativi all’identità di genere di una persona transgender alla prova di un intervento chirurgico sulla stessa.
Varie autorità amministrative dell’Unione, si sono rifiutate di modificare il genere indicato nei registri pubblici di un rifugiato transessuale, in assenza della prova di un trattamento chirurgico.
Il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) sancisce il diritto di ogni individuo a ottenere la rettifica dei propri dati personali inesatti “senza ingiustificato ritardo”.
Inoltre, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea garantisce il diritto alla protezione dei dati personali ed il diritto all’integrità personale e alla vita privata.
Il concetto di esattezza deve essere valutato in relazione alla finalità per cui essi sono raccolti.
Nel caso dell’indicazione di genere nei registri pubblici, esso deve riflettere l’identità di genere vissuta dalla persona, e non quella assegnata alla nascita.
La mancanza di una procedura per il riconoscimento legale della transidentità, non può giustificare la negazione del diritto di rettifica.
Un certificato medico attestante l’identità di genere vissuta dall’individuo è una prova sufficiente per giustificare la rettifica dei dati.
Il diritto all’identità di genere deve essere garantito senza vincoli sproporzionati.