Concerto di Bruno Venturini a Fisciano, il 29 dicembre
Tutto pronto a Fisciano per il concerto di Bruno Venturini, cantante simbolo della canzone napoletana. Il tenore si esibirà venerdì 29 dicembre alle ore 20.30, nella Tendostruttura del villaggio di Babbo Natale, all’interno della villa comunale di Fisciano.
Conosciamolo meglio…
Lei è originario di Pagani.
Mio padre Raffaele era napoletano, aveva un negozio di tessuti al Rettifilo. Mia madre Vittoria, invece, era originaria di Angri, nipote del beato Alfonso Maria Fusco, il fondatore delle suore di S. Giovanni Battista. Durante la seconda guerra mondiale, il negozio di mio padre fu scassinato e gli derubarono tutta la merce. Dopo il conflitto, mio padre fu costretto a ricominciare daccapo a Pagani, dove viveva mio nonno Giuseppe. Abitavamo in una strada colorata e vivace, via Lamia, che era un po’ la Forcella di Pagani. I primi anni di vita li ho trascorsi lì, in mezzo ai vicoli, giocando con lo strummolo e avendo, non di rado, scontri fisici con gli altri ragazzi. Come Caruso, sono stato uno scugnizzo di strada.
Poi nella seconda metà degli anni Cinquanta si trasferì a Salerno.
Sì, mio padre ebbe fortuna con la sua attività e venne a Salerno, dove aprì un negozio in via Velia. Avevo dieci anni. Prendemmo casa in Piazza Luciani, di fronte al Teatro Verdi. Purtroppo mio padre si ammalò di cirrosi epatica. In due-tre anni, tra medicine e assistenza, ci mangiammo tutto il patrimonio di famiglia. Ricordo che lo portammo anche in una clinica a Roma, ma fu tutto inutile. Però, durante quel lungo soggiorno romano ebbi modo di conoscere i grandi tenori Beniamino Gigli e Mario Lanza.
Come andò?
Io e mio fratello Peppino eravamo alloggiati in una pensione a Montemario, da Sora Stella. Per mantenerci, andavamo a vendere maglie a Porta Portese e io, prima di iniziare la vendita, mi esibivo con un repertorio di canzoni napoletane. Un giorno, al mercato, giravano le scene di “Arrivederci Roma”, con Mario Lanza. Il tenore, quando mi sentì cantare, si avvicinò e disse in un italiano americanizzato: “Uagliò, tu canti molto buono, ma devi studiare”. E mi regalò dieci dollari che conservo ancora con il suo autografo. Quanto a Gigli, il marito di Sora Stella, che si chiamava Sor Gigetto, era il suo maggiordomo. Volle portarmi a conoscere il grande tenore il quale, dopo che mi ebbe ascoltato, esclamò: “Questo ragazzo ha una gran voce!”.
Come iniziò la sua carriera musicale?
Io frequentavo l’Istituto tecnico commerciale, che era sito nel palazzo Ischitella. Il canto per me era una passione, per così dire, solo casalinga. Finché venne ad abitare nell’appartamento accanto al nostro un intendente di finanza di Napoli. La moglie, la signora Fanale, ai suoi tempi era stata un grande soprano e aveva cantato anche con De Lucia al Teatro San Carlo di Napoli. Un bel giorno bussò alla nostra porta e chiese a mia madre chi era che sentiva cantare la mattina. “E’ mio figlio Bruno”. “E perché non lo fate studiare?”. Mia madre, poverina, le fece capire che non potevamo permettercelo. “Non vi preoccupate – replicò lei – Ci penso io”. E così mi presentò a Franz Carella, che dirigeva il liceo musicale di Porta Nova, e ad Alfredo Giorleo, che aveva una scuola a Piazza Ferrovia. Loro due sono stati i miei primi maestri di canto.
Quale fu il momento di svolta?
Avevo 15 anni, ma ero alto e ben piazzato e ne dimostravo 18-20, e così pensai di partecipare al Festival Voci Nuove che si teneva a Napoli, nell’ambito della manifestazione Porta Capuana in Festa. Mio fratello Peppino conosceva un fabbricante di calzini, il signor Visconti, il quale era grande amico del patron della festa, don Raffaele Russo, e mi procurò un’audizione con lui e con il maestro Felice Genta. Questi rimase entusiasta di me e convinse don Raffaele che, nonostante la giovane età, dovevo esibirmi tra i professionisti e non tra i dilettanti. E così mi trovai a cantare con big come Claudio Villa, Sergio Bruni, Achille Togliani, Franco Ricci.