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Ciaramella incanta Salerno: “Arte del teatro metafora della vita” Cronaca 

Ciaramella incanta Salerno: “Arte del teatro metafora della vita”

Un viaggio introspettivo alla ricerca della propria identità, un percorso doloroso e tormentato affrontato anche con quel pizzico di ironia che spesso aiuta a convivere con i drammi della quotidianità. Talvolta con un atteggiamento apparentemente spavaldo e sicuro di sè ma che cela la smisurata voglia di affetto e comprensione. La protagonista è Clelia, il tema principale è il rapporto conflittuale con la madre. L’opera si intitola “Il dito in bocca” e, nello scorso fine settimana, è andata in scena presso il “Piccolo Teatro di Giullare” di Salerno che, in nome di un progetto ambizioso e lungimirante, sta dando spazio a tantissimi artisti di spessore battendo su tematiche di strettissima attualità tali da rendere il pubblico non semplice cornice che assiste ad uno show ma parte integrante e interattiva. Tutti si sono sentiti coinvolti, il post spettacolo è stato caratterizzato da un dibattito spontaneo e da una serie di riflessioni che hanno gratificato lo staff capitanato dal regista Andrea Carraro e arricchito da professionalità del calibro di Iolanda Di Lorenzo, Ottmar Kiefer e Virna Prescenzo. Ma la standing ovation è tutta per Irma Ciaramella, definita dagli organizzatori come “l’attrice perfetta per interpretare quest’opera così intensa e ricca di significati. Avevamo accantonato il progetto, poi abbiamo individuato la persona giusta per portarlo in scena”. Oggi e domani, alle 20:30, sarà possibile godersi ancora lo spettacolo e la nostra redazione ha avuto il piacere di intervistarla apprezzandone gentilezza, garbo, cortesia e – ovviamente – competenza:

Anzitutto complimenti, l’opera è bella tosta e ci sono tanti momenti toccanti e ricchi di significati pur con quel velo di ironia che ha divertito il pubblico…
“William Shakespeare, uno dei più grandi autori della storia dell’umanità, nelle sue tragedie inseriva sempre un momento di ironia tra tante fasi di sofferenza. Nella rappresentazione del dolore è anche necessario ritagliarsi un attimo per sorridere: anche questo aiuta a riflettere e a capire meglio lo stato d’animo del personaggio. Mi vengono in mente l’Amleto, l’Otello, il Macbeth. Capolavori in cui era caratteristico il contrasto tra i vari sentimenti. In fondo noi portiamo in scena situazioni che viviamo nella nostra quotidianità. Faccio un esempio: a chi non è scappato da ridere durante un funerale che, per antonomasia, è uno dei momenti più tristi e dolorosi della nostra esistenza? A volte il destino ci presenta situazioni comiche o paradossali nei contesti più inaspettati”.

Entriamo nello specifico dell’opera, “Il Dito in bocca”…
“La protagonista è Clelia, una donna che non ha mai fatto i conti con il proprio passato e che, a un certo punto della prima vita, sente l’esigenza di iniziare un percorso introspettivo incentrato soprattutto sul rapporto con la madre. A volte si pensa che sia difficile solo il “mestiere” del genitore, ma mica è facile essere figli? Si ha la convinzione, legittima, di essere amati a prescindere, invece a volte un padre o una madre ripongono delle aspettative diverse e si creano contrasti e divisioni. Ad ogni modo il teatro si conferma una forma artistica essenziale per rappresentare sul palco situazioni di vita quotidiana, per noi attori è essenziale toccare le corde giuste affinché il pubblico si senta protagonista e si immedesimi in ciò che sta guardando”.

Quanto è difficile fare un monologo di oltre un’ora?
“Nella mia carriera ho avuto la possibilità di lavorare con gente del calibro di Albertazzi, Ronconi, Bucci. A lungo andare ho avvertito la necessità di mettermi alla prova con un tipo di spettacolo diverso, incentrato su argomenti inerenti la vita di tutti i giorni. Naturalmente è bello anche recitare con più colleghi, si avverte la sensazione di crescere insieme e di portare avanti un percorso condiviso. Ma vi assicuro che non mi sono mai sentita “sola”, perchè il pubblico è il più fedele compagno di viaggio. Interpretare un solo personaggio, ma riuscire a far immaginare anche quelli che ci limitiamo a menzionare è la sfida più intrigante per chi fa questo lavoro. A noi tocca sviluppare la fantasia, azionare le corde del cuore, regalare emozioni e sensazioni dando voce ai sogni e tirando fuori quelle debolezze che ci rendono fragili”.

Nel calcio spesso si dice che il pubblico sia il dodicesimo uomo perchè le performance dei calciatori e il risultato sportivo dipendono anche dal tifo. A teatro vale lo stesso discorso?
“Assolutamente sì, forse a volte si sottovaluta ‘importanza del pubblico che è parte essenziale per la buona riuscita dello spettacolo. Un attore, un regista, uno sceneggiatore non esisterebbe se non avesse una platea che lo segue, che lo guarda, che lo sostiene, che vive lo spettacolo in prima persona. Senza l’empatia col pubblico nulla avrebbe lo stesso significato. Certo, non è semplice entrare in sintonia. Lo spettacolo è sempre uguale, ma ogni sera gli spettatori sono differenti e bisogna sapersi adattare. E’ un risintonizzarsi continuo che trasmette stimoli enormi, che ti fa sentire vivo e desideroso di parlare un linguaggio unico basato sull’amore, la condivisione e su quei sentimenti autentici troppo spesso soppiantati dai social”.

Quanto è stata dura per un’artista vivere i tempi della pandemia?
“Il lockdown e l’annesso blocco delle attività è arrivato proprio mentre avevo un testo a disposizione da proporre al pubblico. Indubbiamente la pandemia ha rappresentato una bella mazzata per tutti, ci sono stati artisti che davano a testate nel muro e che temevano che la carriera potesse essere compromessa. Personalmente l’ho vissuta come un momento di crescita e di riflessione. E’ vero che il mondo dell’arte era stato messo a dura prova e che la tristezza del momento era tale da togliere il respiro. Ma la voglia di tornare su quel palco, di abbracciarsi idealmente con il pubblico e di regalarsi emozioni a vicenda mi ha spinto a non fermarmi, a scrivere altre due opere che tuttora ci richiedono. E’ quel viaggio introspettivo di cui parlavamo prima, quando sei solo e scavi nella tua anima alla ricerca di quegli stimoli che ti aiutino a sognare ancora. Dopo la riapertura sono comunque cambiate tante cose. Prima si recitava anche con compagnie di una decina di attori, poi l’obbligo dei tamponi e la successiva crisi economica hanno comportato una drastica riduzione. Non a caso, da un paio d’anni, i monologhi sono gettonatissimi”.

Allora appuntamento a stasera e a domani…
“Ore 20:30 stasera e domani pomeriggio, Piccolo Teatro del Giullare. Vi aspetto per vivere qualche ora emozionante, intensa. Colgo l’occasione per invitarvi anche a Napoli ad aprile, al Teatro Elicantropo metteremo in scena Conta che passa la pazza”

Un grande in bocca al lupo ad una grande attrice e a una grande donna, capace di conquistare il pubblico con le doti professionali, ma soprattutto con quell’umanità e semplicità che hanno commosso, colpito e conquistato tutti. E’ grazie a persone come lei che l’arte del teatro vivrà in eterno e continuerà ad essere metafora della vita.

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