A SCUOLA VOGLIONO IMPORRE A MIA FIGLIA UN CERTO TIPO DI ABITI: MA LE NORME DI LEGGE LO PERMETTONO?
In questa controversia eterna tra alunni ed insegnati, arriva il commento dell’avvocato Simone Labonia, nel tentativo di porre chiarezza.
Il tema dell’abbigliamento scolastico rappresenta da tempo un punto d’incontro tra esigenze educative, principi di uguaglianza e tutela delle libertà individuali. La questione centrale riguarda la liceità, per l’istituzione scolastica, di imporre un determinato tipo di vestiario a studenti e studentesse.
In Italia, non esiste una norma nazionale che imponga o vieti esplicitamente l’uso di un certo tipo di abbigliamento. Tuttavia, la materia è regolata da un insieme di principi costituzionali e disposizioni amministrative che fissano i limiti entro cui una scuola può intervenire.
La Costituzione italiana, agli articoli 2, 3 e 33, garantisce la libertà personale, l’uguaglianza dei cittadini e la libertà d’insegnamento. Imporre un abbigliamento uniforme non può quindi tradursi in una compressione della libertà individuale o in una discriminazione economica o culturale. Tuttavia, il diritto all’autonomia scolastica (D.P.R. n. 275/1999) consente agli istituti di adottare regolamenti interni che definiscono norme di comportamento, inclusi eventuali riferimenti al vestiario, purché ragionevoli, proporzionati e condivisi.
La scuola, come comunità educativa, ha il diritto di stabilire regole funzionali al rispetto reciproco e al decoro, ma non può imporre vincoli che ledano la personalità degli studenti o che abbiano finalità meramente estetiche. L’imposizione di una divisa, ad esempio, può essere giustificata solo se volta a promuovere eguaglianza, appartenenza e sicurezza, e non per uniformare l’identità individuale.
Un altro aspetto rilevante è il principio di partecipazione democratica: il regolamento scolastico, per essere legittimo, deve essere approvato dagli organi collegiali (consiglio di istituto, assemblee, rappresentanze dei genitori e degli studenti). Qualsiasi imposizione unilaterale da parte del dirigente scolastico o del corpo docente sarebbe illegittima.
Le linee guida del Ministero dell’Istruzione incoraggiano la promozione del decoro, ma lasciano alle singole scuole la libertà di decidere, nel rispetto della pluralità culturale e religiosa. È perciò contrario ai principi costituzionali vietare simboli religiosi, capi di vestiario etnici o accessori che esprimano identità personale, salvo che non compromettano la sicurezza o l’ordine scolastico.
In sintesi, la liceità di imporre un certo tipo di vestiario dipende da tre criteri fondamentali: legittimità della finalità (uguaglianza, sicurezza, rispetto reciproco); proporzionalità della misura rispetto allo scopo perseguito; partecipazione e condivisione delle regole da parte della comunità scolastica.
La scuola, dunque, può proporre ma non imporre arbitrariamente: il confine tra uniformità e libertà è sottile, e solo il dialogo tra istituzione, studenti e famiglie può garantire che l’abito non diventi una limitazione, ma un mezzo per valorizzare la convivenza e la responsabilità comune.





