PER UN PUBBLICO CONCORSO IN POLIZIA, LE COLPE PENALI DI MIO PADRE POSSONO CREARMI PROBLEMI?
Ci risponde l’avvocato Simone Labonia.
Negli ultimi anni, diversi candidati ai concorsi per la Polizia di Stato si sono visti respingere l’accesso non per propri precedenti penali, ma per reati commessi da familiari stretti. Una prassi storicamente giustificata con la necessità di “garantire l’affidabilità” dell’aspirante agente e prevenire possibili condizionamenti ambientali. Tuttavia, questa impostazione è stata messa in discussione.
La Corte costituzionale, con un recente intervento, ha escluso che i precedenti penali di genitori, fratelli o altri parenti possano costituire automaticamente un motivo di esclusione dal concorso. Secondo i giudici, il criterio “per derivazione familiare” viola il principio di responsabilità personale sancito dalla Costituzione e rischia di tradursi in una discriminazione ingiustificata. In altre parole, nessuno può essere penalizzato per fatti commessi da altri, anche se legati da vincoli di sangue.
La decisione ha aperto la strada a un cambiamento normativo e interpretativo: oggi, formalmente, la mera esistenza di precedenti penali nei familiari non può più bloccare l’accesso alle prove selettive. Ma la questione non si esaurisce qui.
Il colloquio attitudinale – fase cruciale del concorso – resta infatti un passaggio discrezionale, in cui la commissione valuta non solo capacità cognitive e motivazionali, ma anche affidabilità complessiva e idoneità ambientale. È in questa sede che, pur senza effetti automatici, eventuali situazioni familiari problematiche potrebbero ancora influenzare il giudizio finale, sotto forma di “perplessità” sull’idoneità a ricoprire incarichi di pubblica sicurezza.
Il rischio, segnalano associazioni e studi legali, è che il divieto di esclusione automatica venga aggirato attraverso valutazioni “indirette” durante il colloquio, difficili da contestare per la loro natura soggettiva. Ciò apre un delicato fronte di bilanciamento tra tutela dei diritti individuali e necessità di garantire l’integrità del corpo di polizia.
Il dibattito resta aperto: la sentenza della Consulta rappresenta un passo importante verso una selezione fondata sulla condotta personale, ma la trasparenza e l’oggettività delle prove attitudinali saranno decisive per tradurre quel principio in una reale parità di opportunità.





