UN MIO AVVERSARIO IN AMORE HA SCRITTO SU FACEBOOK CHE SPERA IO SIA INVESTITO: È UN REATO
Si intromette in questa disputa l’avvocato Simone Labonia, chiarendo gli aspetti legali della vicenda.
Quando l’odio diventa pubblico, dichiarare sui social di augurare la morte a un rivale in amore è reato?
In un’epoca in cui ogni emozione trova sfogo immediato sui social network, anche la rabbia e la gelosia possono trasformarsi in contenuti virali.
È il caso di un episodio recentemente emerso in rete: una persona, coinvolta in una disputa sentimentale, ha pubblicamente scritto su una piattaforma social di sperare che un suo rivale “venga investito da un’auto”.
Il messaggio ha immediatamente sollevato un’ondata di indignazione, ma anche interrogativi legali: si tratta solo di una frase infelice o si configura un vero e proprio reato?
Dal punto di vista giuridico, dichiarazioni di questo tipo possono sfociare nella minaccia (art. 612 del Codice Penale), se chi riceve il messaggio percepisce un concreto timore per la propria incolumità. Tuttavia, nel caso in cui la frase venga pubblicata in modo generico, senza essere diretta all’interessato o senza contenere un intento immediatamente lesivo, può risultare più difficile dimostrare la volontà di intimidire.
Inoltre, un’affermazione come “spero che venga investito da un’auto” potrebbe rientrare nella sfera dell’istigazione a delinquere (art. 414 c.p.) se rivolta a terzi con il chiaro intento di spingerli ad agire. Tuttavia, anche in questo caso, la giurisprudenza tende a distinguere tra l’espressione generica di odio e la reale incitazione a compiere un crimine.
Un’altra possibile ipotesi è quella dell’ingiuria o della diffamazione (art. 595 c.p.), se il messaggio è rivolto a una persona identificabile e ne lede la reputazione, specie se pronunciato davanti a un pubblico: e oggi, i social lo sono a tutti gli effetti.
In buona sostanza, una frase d’odio pubblicata online potrebbe essere penalmente rilevante, ma molto dipende dal contesto, dal tono, dalla finalità e da chi ne è destinatario.
Di certo, anche senza una denuncia o
una condanna, restano la responsabilità morale e civile di un linguaggio che, purtroppo, contribuisce a rendere lo spazio pubblico digitale sempre più tossico.





