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HA ABUSATO DI ME: PAROLA MIA! L'Avvocato risponde 

HA ABUSATO DI ME: PAROLA MIA!

Notizia di cronaca, la definitiva condanna di un imprenditore della provincia, per molestie sessuali nei confronti di una dipendente: approfondiamo con l’aiuto dell’avvocato Simone Labonia.

Le condanne per abusi sessuali rappresentano un tema delicato e complesso, sia dal punto di vista giuridico che sociale. In Italia, la normativa di riferimento è rappresentata dall’articolo 609 bis del Codice Penale, che punisce chiunque costringa una persona a subire atti sessuali mediante violenza, minaccia o abuso di autorità. Le pene possono variare dai 6 ai 12 anni di reclusione, con aggravanti in casi particolari, come la presenza di minori o l’abuso da parte di un familiare.

Uno dei principali nodi della questione riguarda la prova del reato. Nella giustizia penale, il principio cardine è quello della presunzione d’innocenza: l’accusato è innocente fino a prova contraria. Tuttavia, nei casi di violenza sessuale, dove spesso non ci sono testimoni o prove fisiche evidenti, la testimonianza della vittima può avere un peso rilevante. La Corte di Cassazione ha ribadito che la parola della vittima, se ritenuta credibile, può essere sufficiente per una condanna. La valutazione della credibilità si basa su fattori come la coerenza, la precisione e l’assenza di contraddizioni nel racconto.

Tuttavia, la difficoltà di valutare questi elementi solleva interrogativi circa il rischio di accuse infondate. Come garantire che le denunce non siano frutto di calunnia o volontà ritorsiva? Per ridurre tali rischi, il sistema giudiziario adotta diverse cautele. Oltre all’analisi approfondita delle dichiarazioni della vittima, si cercano riscontri oggettivi attraverso esami medici, testimonianze indirette e, se possibile, prove digitali come messaggi o video. Inoltre, il comportamento della vittima dopo l’evento è considerato un ulteriore indizio di veridicità.

Per quanto riguarda la presunta motivazione ritorsiva, è cruciale che il magistrato valuti attentamente il contesto relazionale e le dinamiche personali tra accusatore e accusato. Infine, se emerge che l’accusa è stata fatta in malafede, il Codice Penale prevede il reato di calunnia (art. 368 c.p.), punibile con la reclusione da 2 a 6 anni.







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