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PARE CHE NON ESISTA LIMITE ALLA CATTIVERIA IN RETE L'Avvocato risponde 

PARE CHE NON ESISTA LIMITE ALLA CATTIVERIA IN RETE

Commentiamo con l’avvocato Simone Labonia, la notizia pubblicata sul nostro giornale, in merito ad atti denigratori in rete, contro una quattordicenne che cercava conforto per le sue problematiche di salute.

L’insulto seriale sui social media è un fenomeno preoccupante e dilagante, che non risparmia nemmeno chi condivide le proprie debolezze o malattie. Questo comportamento non solo infrange le norme di convivenza civile, ma può anche avere conseguenze devastanti sulla stabilità mentale delle vittime, amplificando il dolore e la vulnerabilità che già stanno vivendo.

La normativa italiana prevede diverse disposizioni per contrastare questo tipo di comportamenti. La diffamazione, ad esempio, risulta aggravata se commessa con un mezzo di pubblicità, come appunto i social media, e può comportare pene più severe.
Inoltre, la legge n. 71 del 29 maggio 2017, nota come “Legge sul Cyberbullismo“, offre strumenti specifici per contrastare le molestie online, prevedendo la possibilità di richiedere l’oscuramento o la rimozione dei contenuti offensivi.

La Polizia Postale svolge un ruolo fondamentale nel monitoraggio e nella repressione dei crimini informatici, con divisioni specializzate che si occupano anche di questo tipo di ignobili comportamenti.

Nonostante queste misure, il fenomeno delle offese sui social è profondamente radicato nella cultura digitale contemporanea. Spesso, gli aggressori si nascondono dietro l’anonimato o pseudonimi, rendendo difficile l’identificazione. Inoltre, la rapidità e la vastità della diffusione dei contenuti sui social media rendono complicato il controllo e la rimozione tempestiva delle offese.

Emerge quindi la necessità di una riflessione culturale più ampia e di interventi educativi mirati. È fondamentale promuovere un uso responsabile e consapevole dei social media, educando gli utenti al rispetto e alla comprensione dell’altrui vulnerabilità. Le piattaforme stesse dovrebbero essere chiamate a una maggiore responsabilità, implementando algoritmi e strumenti più efficaci per prevenire e bloccare il fenomeno, così come sarebbe opportuno l’obbligo di partecipare a programmi di rieducazione e sensibilizzazione, con il potenziamento delle risorse destinate alla Polizia Postale per il monitoraggio e l’intervento tempestivo.







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