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Rubò soldi all’Asl Salerno: lavoratore reintegrato e risarcito Cronaca Primo piano 

Rubò soldi all’Asl Salerno: lavoratore reintegrato e risarcito

Alla fine l’ha avuta vinta lui: non solo dovrà essere risarcito ma anche riassunto, malgrado sia stato condannato in via definitiva per peculato per aver rubato i soldi dei ticket sanitari. L’ha deciso la Sezione Civile della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso dell’Asl contro la sentenza dell’Appello di Salerno che aveva invece accolto l’istanza del dipendente pubblico. Una storia di lungaggini giudiziarie, prescrizioni, sviste ed altro; con la beffa finale per l’Asl, condannata anche al pagamento delle spese, oltre 5mila euro.

Lo scandalo e il processo. Nel lontano 1996 scoppia lo scandalo al Poliambulatorio di Pastena: alcuni dipendenti infedeli, secondo l’accusa, avevano messo su un sistema per intascare i soldi che i cittadini versavano per i ticket sanitari. L’escamotage era semplice:facevano risultare nella contabilità Asl che l’utente poteva accedere alle prestazioni sanitarie con tariffa ridotta, ma incassavano in realtà l’intero importo, senza esenzione. La differenza – cospicua – finiva nel loro portafogli. L’Asl s’accorse di tutto e denunciò i dipendenti alla Procura. Scattarono le misure cautelari e quindi il processo. In primo grado (siamonell’ottobre 2006) il nostro fu condannato perfalso e peculato a quattro anni di reclusione. Sei anni dopo, in Appello, la condanna fu confermata, ma solo per il reato di peculato (il falso era già prescritto): 3 anni, 8 mesi e 20 giorni, con l’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici. In virtù di questa sentenza l’Asl (che si era costituita parte civile) licenziò senza preavviso il coadiutore amministrativo.

La battaglia giudiziaria. Il dipendente ormai ex dell’Asl, a questo punto, propose un incidente di esecuzione: sebbene la pena principale fosse inferiore a cinque anni, lamentò, il giudice dell’Appello non aveva provveduto anche a ridurre la pena accessoria, violando in tal modo l’articolo 29 del Codice penale. La Corte riconobbe l’errore, riducendo a cinque anni la durata della misura interdittiva. A questo punto il dipendente impugnò il licenziamento disciplinare, contestando all’Asl la violazione delle norme procedimentali. Il giudice, anche in questo caso, gli diede ragione sul punto «della dedotta violazione delle garanzie procedimentali», e applicò al licenziamento illegittimo il regime sanzionatorio risarcitorio ai sensi della vecchia formulazione dell’articolo 18 della legge del 1970 (poi moficato dalla legge 92 del 2012 che, in questi casi, prevede per il dipendente illegittimamente licenziato solo un indennizzo patrimoniale e non anche la reintegra nel posto di lavoro come nel vecchio Statuto). La Corte d’Appello, a questo punto, dopo aver preso atto che sull’illegittimità del licenziamento per violazione delle garanzie procedimentali si era formato il giudicato, e non avendo l’Asl proposto appello incidentale sullo specifico capo di sentenza, in riforma della pronuncia del Tribunale, ritenne applicabile la tutela reintegratoria e risarcitoria prevista dal vecchio articolo 18: il dipendente infedele, malgrado la condanna definitiva, andava reintegrato e risarcito.

La sentenza della Cassazione. L’Asl a questo punto ha deciso di ricorrere inCassazione, uscendone però sconfitta. Al di là delle osservazioni dei legali dell’Asl, infatti, «il thema decidendum – scrivono i giudici – deve essere limitato all’accertamento delle conseguenze derivanti dall’illegittimità di un licenziamento disciplinare comminato in mancanza delle garanzie procedimentali, posto che, come ha accertato la Corte d’Appello, sull’illegittimità della condotta datoriale si era formato il giudicato». Rispetto al regime sanzionatorio, dunque, «la Corte territoriale, è giunta alla decisione che alla fattispecie in esame dovesse applicarsi la tutela reale di cui all’art. 18, della Iegge 300 del 1970, nella versione antecedente alla riforma dell’art. 18 introdotta dalla legge n.92 del 2012». I giudici a tal proposito richiamano una decisione dello stesso collegio (Cass. n. 11868 del 2016), «con cui è stato stabilito il principio di diritto secondo il quale ‘…Le modifiche apportate dalla I. n. 92 del 2012 all’art. 18 della I. n. 300 del 1970 non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della richiamata I. n. 92, resta quella prevista dall’ art. 18 dello Statuto dei lavoratori nel testo antecedente la riforma». Insomma il “nostro” va reintegrato e risarcito. Con tante scuse.

 

 

fonte articolo La Città

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