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Violenza sulle donne, la testimonianza: “C’è paura che denunciare non serva” Cronaca Primo piano 

Violenza sulle donne, la testimonianza: “C’è paura che denunciare non serva”

La tragedia di San Mango Piemonte e il gravissimo episodio di Montecorvino rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di una piaga sociale come la violenza sulle donne. Stando ai dati pubblicati dall’Istat, il 2020 e il 2021 sono stati anni disastrosi sotto questo punto di vista. Il motivo è facilmente immaginabile: la pandemia, il conseguente lockdown e la convivenza stretta e forzata dentro le mura di casa ha aumentato il tasso di abusi, maltrattamenti, stupri. Ben vengano giornate a tema come quelle in programma il prossimo 25 novembre, quando associazioni di tutt’Italia scenderanno in campo per alzare la voce e chiedere rispetto. La paura, però, è sempre la stessa: serve davvero denunciare e rivolgersi alle autorità competenti? Guai a perdere fiducia nella giustizia, ci mancherebbe, ma quante volte le vittime di violenza fanno suonare campanelli d’allarme che restano inascoltati fino a quando un calvario quotidiano si trasforma in una vera e propria tragedia? Ascoltiamo oggi la testimonianza di Annamaria, 58enne salernitana che ha vissuto anni e anni all’insegna del terrore e che, pur avendo subito violenze di vario genere, si ritrovò costretta a girovagare per strada mentre il marito restava in casa comodamente usufruendo, tra l’altro, della sua pensione d’invalidità. “Leggere le notizie di questi giorni mette i brividi” ha dichiarato “la pandemia, la crisi economica e questi maledetti social stanno tirando fuori il peggio da ogni individuo. Ricordo ancora quanto accaduto a pochi metri da casa mia, con l’omicidio della giovanissima Anna che aveva fatto diverse segnalazioni senza essere adeguatamente ascoltata. Ecco, io sono convinta che tante donne non denuncino perchè hanno perso fiducia nelle istituzioni”.

Qui inizia il suo terribile racconto: “Ho preso i primi schiaffi in viaggio di nozze, minacciò anche i miei anziani genitori e quindi ho preferito passarci sopra sperando si trattasse di un episodio isolato. Purtroppo, però, chi ha indole violenta non cambierà se non accetta di farsi seguire da qualche specialista. Per anni io e miei figli abbiamo subito di tutto: violenza, minacce, offese, eravamo arrivati al punto che ci chiudeva in casa e che rubava finanche le 10mila lire che i nonni davano ai bambini. Nel 2001 andai dai carabinieri, purtroppo i pazzi sono anche dei grandi attori e credettero alla sua versione piuttosto che alla mia pur avendo lividi evidenti e un referto medico dell’ospedale. Per tanto tempo i miei ragazzi sono stati seguiti dagli assistenti sociali a loro insaputa, tirocinanti sotto mentite spoglie che affiancavano i professori nelle lezioni. Nel 2005 ho avuto un malore che tuttora mi costringe sulla sedia a rotelle, ciò non servì per cambiarlo. Anzi, avvertiva maggiormente potere su di noi giocando sulla mia disabilità. Abbiamo cambiato quattro case in tre anni perchè dilapidava la mia pensione di invalidità nei circoli ricreativi, facendo mancare ai figli anche i libri per andare a scuola. Nel 2011, dopo l’ennesimo episodio di violenza, scappammo di casa mentre ci puntava il coltello”.

I particolari sono agghiaccianti: “Già la settimana prima mio figlio, percependo il pericolo, si era rivolto alle autorità segnalando che la situazione stesse degenerando. Lo sguardo del mio ex marito metteva i brividi, come la sua frase tipica “Oggi sono pericoloso, state attenti”. L’omertà di parte della famiglia e dei vicini faceva il resto, in tanti si tirarono indietro quando chiamati a testimoniare. Sottovalutarono tutti il problema, ma ci salvammo per miracolo. Per la legge, però, fummo noi ad abbandonare il tetto coniugale e non ci spettò nemmeno restare in casa. Lui era tranquillamente sul divano a consumare i soldi della pensione, noi per strada a cercare disperatamente un appoggio. Non avessimo trovato una specie di scantinato dove rifugiarci, quando il pranzo era una merendina, saremmo stati costretti a tornare in casa. Sono passati 11 anni, malgrado dieci denunce non c’è mai stata nessuna sentenza e lui ha iniziato una nuova vita con un’altra persona. Che, a quanto so, è stata picchiata in un paio di occasioni”. Da qui l’appello finale: “La mente, come si suol dire, è una sfoglia di cipolla. Ci sono alcuni casi in cui è impossibile prevedere reazioni così folli. A volte il vicino di casa più tranquillo e sereno può nascondere una mente malata. Tante altre volte, tuttavia, le avvisaglie ci sono e bisogna garantire la certezza della pena e la tutela delle donne. Tra denuncia, indagini e condanne eventuali non possono passare mesi e anni, perchè nel mentre c’è paura di ritorsioni. Ho grande fiducia nelle forze dell’ordine, spesso è la legge a limitare il loro raggio d’azione. Però esorto le donne a ribellarsi, ad essere coraggiose, anche per il bene dei figli. Ci sono associazioni che lavorano nell’ombra e che si mettono a disposizione. Non aspettiamo sempre ci scappi il morto per intervenire, non bastano gli slogan il 25 novembre per risolvere questo problema”.

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